Ruoli esistenziali: la Teoria della Volontà
Inviato: ven 17/lug/2009 14:13:00
Il 21 giugno 2009, tornando da Siracusa, ebbi un'intuizione molto sottile riguardo ai ruoli esistenziali di uomo e daimon; poi, con lo studio filosofico intensivo, tutto volevo salvo che dedicare il poco tempo libero ad ulteriori speculazioni; infine, i raduni hanno assorbito molte energie psichiche, in termini di aspettative e felicità, e non ho potuto affrontare con decisione questo delicato tema.
Chi sono l'uomo ed il daimon? In che misura determinano ciò che noi complessivamente siamo? Cosa va attribuito all'uomo e cosa al daimon? Sono tutti quesiti finora rimasti insoluti. Affermare che "l'uomo è il daimon ed il daimon è l'uomo" è estremamente efficace per illustrare l'intima compresenza e, per certi versi, l'identità di entrambi; la Teoria della Moneta spiega come conciliare il concetto di identità con la diversità (altrimenti "daimon" sarebbe, semplicemente, un sinonimo di "uomo" e l'intero movimento del Daimonismo troverebbe radici in un mero gioco di parole); tuttavia, nonostante i numerosi sforzi, le domande inizialmente poste restano ancora enigmatiche.
Il daimon è l'anima? ? una parte di anima? ? l'inconscio? C'è un equivoco terminologico. L'anima non coincide con la psiche, perciò parlare, indifferentemente, di "anima" e di "parte inconscia di noi" (o di "ragione" etc.) costituisce un errore concettuale. La psiche è, insieme al corpo, una componente peculiare dell'uomo. Gli psicologi, che affrontano le malattie e disfuzioni mentali (o psicologiche, che dir si voglia) non studiano i daimon, né "curano" i loro problemi. Conseguentemente si deve ammettere che il daimon sia "altro" rispetto alla psiche, la quale, come già detto, è un mattoncino proprio dell'uomo. Per comprenderci meglio, occorrono alcune osservazioni preliminari sulle modalità di pensiero e di azione umane. In altri termini, mediante quali meccanismi l'uomo pensa (in senso lato, dunque anche emozioni e sentimenti sono ricompresi nel vocabolo "pensare") e compie azioni? Qualunque neurologo risponderebbe che, a monte di ogni comportamento, vi sono determinati impulsi elettrici che vengono prodotti da una zona dell'encefalo (o del midollo spinale, per gli atti riflessi) e poi fatti circolare lungo le sinapsi fino a raggiungere il punto del corpo interessato. Se vogliamo muovere la mano, una parte della corteccia si attiva e l'impulso arriva ai muscoli in questione. Parimenti, se cogli occhi percepiamo una minaccia, il cervello registra il dato e ci fa spostare dalla traiettoria dell'oggetto pericoloso per salvarci. Ancora, se amiamo una persona, vederla ci suscita un'emozione di gioia, di eccitazione e di imbarazzo: l'emozione non è che l'effetto del rilascio di determinate sostanze nell'organismo. Ma è possibile che l'uomo sia solo questo, una congerie di impulsi elettrici e di reazioni chimiche ed ormonali? ? mai possibile ridurre l'uomo, nella sua immensa complessità, ad un mero meccanismo pieno di ingranaggi perfettamente sincronizzati? I materialisti lo fanno. Per ragioni ideologiche, infatti, escludono ogni riferimento ad un "principio spirituale" e studiano l'uomo solo dal punto di vista del funzionamento del corpo e della psiche. Quest'impostazione - consentitemelo - banalizza in modo allucinante il nostro essere. Se è possibile spiegare in termini squisitamente materialistici l'istinto, così non è per la volontà. L'istinto è un meccanismo naturale in dotazione a tutti gli animali: il bisogno di cibo, di acqua, di accoppiamento fanno scattare la ricerca di qualcosa; così la minaccia incombente attiva delle procedure di difesa, che possono di volta in volta consistere nella fuga, nella lotta, nell'agguato. ? evidente che in tutto questo non c'è alcuna libertà. L'animale affamato va a caccia, punto. Non c'è alcuna scelta da parte sua. Date certe premesse (stomaco vuoto), ne seguono determinate conseguenze (caccia). In presenza di premesse simili, le conseguenze saranno anch'esse comparabili. Questi atti, perciò, non sono liberi ma necessitati: una mela cade perché è nella sua natura di corpo fisico cadere, ma non esiste alcuna libertà o volontà o scelta in ciò. La mela non vuole cadere, e non sceglie di cadere, cade e basta. Così funziona con l'istinto, che associa a precise circostanze altrettante precise reazioni. Esso produce, perciò, atti puramente necessari: se un malvivente ci sorprende in un vicolo buio, l'adrenalina cresce a dismisura nel sangue, ed è un fatto, non una scelta. L'uomo è solo istinto? No, naturalmente. Mi pare un'asserzione così apodittica che ogni dimostrazione risulta superflua. L'uomo è libero, ha una propria volontà, può perseguire un proprio stile di vita completamente diverso dagli altri e può reagire in modo diverso pur trovandosi nelle medesime circostanze. Chi è responsabile della libertà e, dunque, della volontà? Il daimon! Pensiamoci bene. Ogni pensiero od azione avvengono tramite impulsi cerebrali, ma perché il cervello è spinto a produrli? I gesti riflessi sono una reazione "programmata", di tipo istintivo (tocco un oggetto rovente e ritraggo subito la mano), ma gli altri? Quando decido di andare al cinema, di incontrare qualcuno, di scrivere un romanzo, di mangiare pesce anziché carne, perché lo faccio? Cosa induce il cervello ad attivarsi per causare il pensiero o l'azione corrispondente? Questo i materialisti non lo spiegano: per loro l'uomo è una macchina, e le macchine non sono libere: associano alle varie domande delle risposte preconfezionate, programmate, precalcolate, dunque necessarie. Il daimon, invece, è colui che ci rende liberi. Egli è un principio puramente spirituale che incarna la libertà e la volontà: è grazie a luii che siamo uomini e non meri animali. Dietro ogni funzione cerebrale c'è il suo "motore", come se, per intenderci, egli desse un senso ed uno scopo ai nostri comportamenti. Senza questo contributo, per quale mirabolante ragione il cervello dovrebbe mettersi in attività, fuori del caso dell'istinto?
Il daimon è, pertanto, volontà, ma questa non può estrinsecarsi e concretizzarsi senza un apparato corporeo che si metta in funzione per realizzarla. Insomma, il daimon può volere quanto gli pare, ma senza il corpo e la psiche dell'uomo, senza quel complesso apparato di tessuti ed ormoni, quella volontà resterebbe muta ed inoperosa. Il daimon ha bisogno dell'uomo, ma anche l'uomo ha bisogno del daimon. Che succede a quanti non conoscono il proprio daimon? Anche costoro sono liberi, naturalmente, ma godono di una libertà limitata. Facciamo esempi concreti. Le persone superficiali - che ciascuno di noi conosce - compiono sì scelte, nondimeno non si interrogano mai sul perché le fanno ed agiscono, di fatto, in modo sempre più meccanico e standardizzato. Lo scarso contatto col proprio daimon impedisce loro di apprezzare pienamente il valore e la forza della volontà: se ne servono, certo, ma solo in minima parte, in modo strumentale, senza coglierne l'essenza. Conformismo, mode e pregiudizi sono l'effetto visibile di questa alienazione (nel senso che l'uomo si aliena, si allontana, si distacca, dalla propria anima). ? d'uopo una precisazione. Non ho mica detto che tutti i non daemian siano degli idioti che vivono meccanicamente, senza pensare, senza assaporare la libertà vera (che proviene dal daimon): è infatti possibile che una persona, pur non essendo daemian, coltivi una spiritualità che lo porta, di fatto, ad entrare in contatto intimo con la propria anima. Se poi la chiama daimon o altrimenti è del tutto indifferente. Questo spiegherebbe come mai i daemian sono notevolmente più sensibili di molte altre persone. Non si tratta di avere doni superiori o privilegi speciali, bensì di guardare dentro se stessi e rendersi conto che, a monte di ogni scelta, c'è la volontà pura del daimon: alcuni lo fanno ed altri no, la differenza sta in questo. Per quanto possa sembrare paradossale, infatti, l'uomo può esercitare la libertà nel senso di avvilire la libertà, cioè scegliere (la scelta è un atto di libertà) di agire con scarsa consapevolezza della propria libertà.
Si impone a questo punto una precisazione. Il daimon è la fonte della nostra libertà: questo significa che è luii a stabilire cosa il nostro corpo deve eseguire, manovrandoci come burattini? No, la questione è più complessa ed affascinante. Egli ci fornisce un motivo, un significato, un qualcosa per cui valga la pena pensare o agire, una "spintarella" insomma, dopodiché sta a noi decidere cosa fare per raggiungere quello scopo, come comportarci per dare sviluppo a quel motivo esistenziale. ? come dire che il daimon ci informa che la felicità è una bella cosa (dando così un senso alla nostra vita e motivando le nostre azioni), poi però scegliamo noi, con quei complessi meccanismi cerebrali che regolano l'apprendimento e la decisione, cosa fare per essere felici. Noi siamo liberi, però dobbiamo questa nostra libertà alla "spintarella iniziale" del daimon. Tolta quest'ultima, diventiamo né più e né meno che computer muniti di un hardware e di un software. Ecco, allora, l'utilità di conoscere la propria anima: essa ci garantisce la nostra libertà, ci aiuta ad essere noi stessi, a non appiattirci su risposte ed atteggiamenti stereotipati di fronte a ciò che il mondo esterno ci offre. Questo è uno dei modi in cui il daimon può relazionarsi con l'uomo: il primo fornisce il movente dell'azione, lo scopo esistenziale; il secondo, spinto da quello, pensa ed agisce come gli pare. Il daimon come motore dei comportamenti dell'uomo. Esiste però un secondo modo, che sperimentiamo ogniqualvolta dialoghiamo col nostro speculare (l'uomo è lo speculare del proprio daimon e viceversa). In quel frangente sentiamo la sua voce, distinguendola dalla nostra: com'è possibile? ? possibile perché mettiamo il nostro corpo ed i suoi complessi ingranaggi cerebrali al servizio del daimon, come dire: . In tal caso il daimon non si limita a dare un senso alle nostre azioni, spingendoci a vivere (ma lasciando a noi la scelta su cosa, come e quando fare), bensì condiziona direttamente il funzionamento del nostro corpo, cioè spinge il cervello ad attivarsi per formulare un pensiero che rispecchi la sua, propria ed esclusiva volontà. Stavolta il daimon non ci dà solo la "spintarella iniziale", bensì fissa il percorso da seguire: . Non a caso il dialogo (e ancor di più la visualizzazione e la proiezione, che sono assimilabili, seppur con i dovuti distinguo) può risultare stancante: siamo costretti, infatti, a passare dalla prima modalità (spintarella), con la quale esprimiamo noi stessi, alla seconda (spintarella e percorso), con la quale si esprime luii. Logico che a lungo andare diventa spossante!
Cosa accade con l'intercisione? ? intuitivo. Privati del motore che dà un perché, un valido motivo, al cervello, inducendolo a produrre i suoi impulsi, l'unico motore che ci resta è l'istinto: il corpo registra le mancanze (i "bisogni") e reagisce di conseguenza (in modo meccanico, standardizzato, necessitato), ma la nostra umanità (cioè la nostra libertà, quella che ci distingue dalle altre bestie) è perduta per sempre. Resta così spiegato perché "il daimon è l'uomo e l'uomo è il daimon": l'uomo non sarebbe uomo (ma animale) senza il daimon che desse un senso alla sua esistenza ed il daimon non sarebbe daimon (ma volontà sterile) senza l'uomo che desse concretezza corporea alla volontà. Sia l'uomo che il daimon sono tali grazie alla presenza dell'altro, ossia l'"essere" dell'uno condiziona e rende possibile l'"essere" dell'altro e viceversa.
Tutto chiaro? Avete dubbi o confutazioni? 8)
Chi sono l'uomo ed il daimon? In che misura determinano ciò che noi complessivamente siamo? Cosa va attribuito all'uomo e cosa al daimon? Sono tutti quesiti finora rimasti insoluti. Affermare che "l'uomo è il daimon ed il daimon è l'uomo" è estremamente efficace per illustrare l'intima compresenza e, per certi versi, l'identità di entrambi; la Teoria della Moneta spiega come conciliare il concetto di identità con la diversità (altrimenti "daimon" sarebbe, semplicemente, un sinonimo di "uomo" e l'intero movimento del Daimonismo troverebbe radici in un mero gioco di parole); tuttavia, nonostante i numerosi sforzi, le domande inizialmente poste restano ancora enigmatiche.
Il daimon è l'anima? ? una parte di anima? ? l'inconscio? C'è un equivoco terminologico. L'anima non coincide con la psiche, perciò parlare, indifferentemente, di "anima" e di "parte inconscia di noi" (o di "ragione" etc.) costituisce un errore concettuale. La psiche è, insieme al corpo, una componente peculiare dell'uomo. Gli psicologi, che affrontano le malattie e disfuzioni mentali (o psicologiche, che dir si voglia) non studiano i daimon, né "curano" i loro problemi. Conseguentemente si deve ammettere che il daimon sia "altro" rispetto alla psiche, la quale, come già detto, è un mattoncino proprio dell'uomo. Per comprenderci meglio, occorrono alcune osservazioni preliminari sulle modalità di pensiero e di azione umane. In altri termini, mediante quali meccanismi l'uomo pensa (in senso lato, dunque anche emozioni e sentimenti sono ricompresi nel vocabolo "pensare") e compie azioni? Qualunque neurologo risponderebbe che, a monte di ogni comportamento, vi sono determinati impulsi elettrici che vengono prodotti da una zona dell'encefalo (o del midollo spinale, per gli atti riflessi) e poi fatti circolare lungo le sinapsi fino a raggiungere il punto del corpo interessato. Se vogliamo muovere la mano, una parte della corteccia si attiva e l'impulso arriva ai muscoli in questione. Parimenti, se cogli occhi percepiamo una minaccia, il cervello registra il dato e ci fa spostare dalla traiettoria dell'oggetto pericoloso per salvarci. Ancora, se amiamo una persona, vederla ci suscita un'emozione di gioia, di eccitazione e di imbarazzo: l'emozione non è che l'effetto del rilascio di determinate sostanze nell'organismo. Ma è possibile che l'uomo sia solo questo, una congerie di impulsi elettrici e di reazioni chimiche ed ormonali? ? mai possibile ridurre l'uomo, nella sua immensa complessità, ad un mero meccanismo pieno di ingranaggi perfettamente sincronizzati? I materialisti lo fanno. Per ragioni ideologiche, infatti, escludono ogni riferimento ad un "principio spirituale" e studiano l'uomo solo dal punto di vista del funzionamento del corpo e della psiche. Quest'impostazione - consentitemelo - banalizza in modo allucinante il nostro essere. Se è possibile spiegare in termini squisitamente materialistici l'istinto, così non è per la volontà. L'istinto è un meccanismo naturale in dotazione a tutti gli animali: il bisogno di cibo, di acqua, di accoppiamento fanno scattare la ricerca di qualcosa; così la minaccia incombente attiva delle procedure di difesa, che possono di volta in volta consistere nella fuga, nella lotta, nell'agguato. ? evidente che in tutto questo non c'è alcuna libertà. L'animale affamato va a caccia, punto. Non c'è alcuna scelta da parte sua. Date certe premesse (stomaco vuoto), ne seguono determinate conseguenze (caccia). In presenza di premesse simili, le conseguenze saranno anch'esse comparabili. Questi atti, perciò, non sono liberi ma necessitati: una mela cade perché è nella sua natura di corpo fisico cadere, ma non esiste alcuna libertà o volontà o scelta in ciò. La mela non vuole cadere, e non sceglie di cadere, cade e basta. Così funziona con l'istinto, che associa a precise circostanze altrettante precise reazioni. Esso produce, perciò, atti puramente necessari: se un malvivente ci sorprende in un vicolo buio, l'adrenalina cresce a dismisura nel sangue, ed è un fatto, non una scelta. L'uomo è solo istinto? No, naturalmente. Mi pare un'asserzione così apodittica che ogni dimostrazione risulta superflua. L'uomo è libero, ha una propria volontà, può perseguire un proprio stile di vita completamente diverso dagli altri e può reagire in modo diverso pur trovandosi nelle medesime circostanze. Chi è responsabile della libertà e, dunque, della volontà? Il daimon! Pensiamoci bene. Ogni pensiero od azione avvengono tramite impulsi cerebrali, ma perché il cervello è spinto a produrli? I gesti riflessi sono una reazione "programmata", di tipo istintivo (tocco un oggetto rovente e ritraggo subito la mano), ma gli altri? Quando decido di andare al cinema, di incontrare qualcuno, di scrivere un romanzo, di mangiare pesce anziché carne, perché lo faccio? Cosa induce il cervello ad attivarsi per causare il pensiero o l'azione corrispondente? Questo i materialisti non lo spiegano: per loro l'uomo è una macchina, e le macchine non sono libere: associano alle varie domande delle risposte preconfezionate, programmate, precalcolate, dunque necessarie. Il daimon, invece, è colui che ci rende liberi. Egli è un principio puramente spirituale che incarna la libertà e la volontà: è grazie a luii che siamo uomini e non meri animali. Dietro ogni funzione cerebrale c'è il suo "motore", come se, per intenderci, egli desse un senso ed uno scopo ai nostri comportamenti. Senza questo contributo, per quale mirabolante ragione il cervello dovrebbe mettersi in attività, fuori del caso dell'istinto?
Il daimon è, pertanto, volontà, ma questa non può estrinsecarsi e concretizzarsi senza un apparato corporeo che si metta in funzione per realizzarla. Insomma, il daimon può volere quanto gli pare, ma senza il corpo e la psiche dell'uomo, senza quel complesso apparato di tessuti ed ormoni, quella volontà resterebbe muta ed inoperosa. Il daimon ha bisogno dell'uomo, ma anche l'uomo ha bisogno del daimon. Che succede a quanti non conoscono il proprio daimon? Anche costoro sono liberi, naturalmente, ma godono di una libertà limitata. Facciamo esempi concreti. Le persone superficiali - che ciascuno di noi conosce - compiono sì scelte, nondimeno non si interrogano mai sul perché le fanno ed agiscono, di fatto, in modo sempre più meccanico e standardizzato. Lo scarso contatto col proprio daimon impedisce loro di apprezzare pienamente il valore e la forza della volontà: se ne servono, certo, ma solo in minima parte, in modo strumentale, senza coglierne l'essenza. Conformismo, mode e pregiudizi sono l'effetto visibile di questa alienazione (nel senso che l'uomo si aliena, si allontana, si distacca, dalla propria anima). ? d'uopo una precisazione. Non ho mica detto che tutti i non daemian siano degli idioti che vivono meccanicamente, senza pensare, senza assaporare la libertà vera (che proviene dal daimon): è infatti possibile che una persona, pur non essendo daemian, coltivi una spiritualità che lo porta, di fatto, ad entrare in contatto intimo con la propria anima. Se poi la chiama daimon o altrimenti è del tutto indifferente. Questo spiegherebbe come mai i daemian sono notevolmente più sensibili di molte altre persone. Non si tratta di avere doni superiori o privilegi speciali, bensì di guardare dentro se stessi e rendersi conto che, a monte di ogni scelta, c'è la volontà pura del daimon: alcuni lo fanno ed altri no, la differenza sta in questo. Per quanto possa sembrare paradossale, infatti, l'uomo può esercitare la libertà nel senso di avvilire la libertà, cioè scegliere (la scelta è un atto di libertà) di agire con scarsa consapevolezza della propria libertà.
Si impone a questo punto una precisazione. Il daimon è la fonte della nostra libertà: questo significa che è luii a stabilire cosa il nostro corpo deve eseguire, manovrandoci come burattini? No, la questione è più complessa ed affascinante. Egli ci fornisce un motivo, un significato, un qualcosa per cui valga la pena pensare o agire, una "spintarella" insomma, dopodiché sta a noi decidere cosa fare per raggiungere quello scopo, come comportarci per dare sviluppo a quel motivo esistenziale. ? come dire che il daimon ci informa che la felicità è una bella cosa (dando così un senso alla nostra vita e motivando le nostre azioni), poi però scegliamo noi, con quei complessi meccanismi cerebrali che regolano l'apprendimento e la decisione, cosa fare per essere felici. Noi siamo liberi, però dobbiamo questa nostra libertà alla "spintarella iniziale" del daimon. Tolta quest'ultima, diventiamo né più e né meno che computer muniti di un hardware e di un software. Ecco, allora, l'utilità di conoscere la propria anima: essa ci garantisce la nostra libertà, ci aiuta ad essere noi stessi, a non appiattirci su risposte ed atteggiamenti stereotipati di fronte a ciò che il mondo esterno ci offre. Questo è uno dei modi in cui il daimon può relazionarsi con l'uomo: il primo fornisce il movente dell'azione, lo scopo esistenziale; il secondo, spinto da quello, pensa ed agisce come gli pare. Il daimon come motore dei comportamenti dell'uomo. Esiste però un secondo modo, che sperimentiamo ogniqualvolta dialoghiamo col nostro speculare (l'uomo è lo speculare del proprio daimon e viceversa). In quel frangente sentiamo la sua voce, distinguendola dalla nostra: com'è possibile? ? possibile perché mettiamo il nostro corpo ed i suoi complessi ingranaggi cerebrali al servizio del daimon, come dire: . In tal caso il daimon non si limita a dare un senso alle nostre azioni, spingendoci a vivere (ma lasciando a noi la scelta su cosa, come e quando fare), bensì condiziona direttamente il funzionamento del nostro corpo, cioè spinge il cervello ad attivarsi per formulare un pensiero che rispecchi la sua, propria ed esclusiva volontà. Stavolta il daimon non ci dà solo la "spintarella iniziale", bensì fissa il percorso da seguire: . Non a caso il dialogo (e ancor di più la visualizzazione e la proiezione, che sono assimilabili, seppur con i dovuti distinguo) può risultare stancante: siamo costretti, infatti, a passare dalla prima modalità (spintarella), con la quale esprimiamo noi stessi, alla seconda (spintarella e percorso), con la quale si esprime luii. Logico che a lungo andare diventa spossante!
Cosa accade con l'intercisione? ? intuitivo. Privati del motore che dà un perché, un valido motivo, al cervello, inducendolo a produrre i suoi impulsi, l'unico motore che ci resta è l'istinto: il corpo registra le mancanze (i "bisogni") e reagisce di conseguenza (in modo meccanico, standardizzato, necessitato), ma la nostra umanità (cioè la nostra libertà, quella che ci distingue dalle altre bestie) è perduta per sempre. Resta così spiegato perché "il daimon è l'uomo e l'uomo è il daimon": l'uomo non sarebbe uomo (ma animale) senza il daimon che desse un senso alla sua esistenza ed il daimon non sarebbe daimon (ma volontà sterile) senza l'uomo che desse concretezza corporea alla volontà. Sia l'uomo che il daimon sono tali grazie alla presenza dell'altro, ossia l'"essere" dell'uno condiziona e rende possibile l'"essere" dell'altro e viceversa.
Tutto chiaro? Avete dubbi o confutazioni? 8)