Società civile: condotte umane e ripercussioni daimoniane.
Inviato: lun 05/mag/2008 15:31:00
Come già detto in un diverso argomento, la società (civile?) di oggi sta incamminandosi verso un baratro, o forse è già sull'orlo, pronta a precipitare senza requie in una scarpata di rovina. Non si tratta di uno stile espositivo tragico, ma di un'accorata presa d'atto della degenerazione del nostro mondo. Vediamo di studiarne le cause.
PRIMA CAUSA: MECCANIZZAZIONE DEL VIVERE.
I mezzi fisici sono concepiti per servire l'uomo e servire all'uomo. Sono, cioè, a noi subordinati come la creatura lo è al creatore, ma allo stesso tempo ci giovano, semplificandoci l'esistenza. Il mio prof di fisica al liceo diceva che l'uomo è intrinsecamente pigro, perché cerca la massima utilità col minimo sforzo. Purtroppo l'uomo non comprende spesso che il minimo sforzo che impiega è quello bastevole alla massima utilità del giorno dopo, ma ad un'accurata, lucida e savia riflessione dell'intelletto, il nostro agire è antieconomico sul medio e lungo termine. Le macchine ci consentono di risparmiare fatica, ma ci esimono altresì dal ragionare, favorendo l'atrofizzazione del cervello. Gli antichi marinai sapevo orientarsi con eccezionale precisione, usando la vista propria, una buona cartina e, più recentemente, piccoli arnesi ausiliari, come il sestante. Anche all'epoca la mente si appoggiava a strumenti ad essa estranei, ma da essa concepiti, tuttavia con due fondamentali differenze. La prima è che encefalo e strumento di navigazione lavoravano in sinergia, combinando le loro potenzialità onde valicare i limiti propri della mente e dello strumento separatamente operanti. In secondo luogo, il marinaio aveva padronanza piena dell'aggeggio, perché, se non aveva provveduto lui a costruirlo, almeno ne conosceva ampiamente le funzioni ed aveva ben presenti i metodi per assicurarne il massimo rendimento. Oggi non è più così. I marinai usano un bel sistema GPS e lasciano al computer il controllo totale: non c'è più sinergia, bensì avvicendamento. Se comunque l'equipaggio sapesse a menadito il principio di funzionamento del sistema, si potrebbe ancora sperare che sia l'uomo ad avere il dominio della macchina, ma mala sorte vuole che queste conoscenze tecniche siano riservate ai pochi eletti che prestano la propria attività intellettuale e manuale presso le aziende elettronico-informatiche.
Se ne deduce che l'uomo è succube del prodotto suo, né sa vivere senza di esso, e non si tratta di un problema circoscritto alle applicazioni oggettivamente complesse, come la navigazione: è piuttosto un fenomeno generalizzato. Per relazionarci usiamo i cellulari e la televisione, per scrivere il computer, per le faccende di casa una miriade di elettrodomestici, per viaggiare le auto, per studiare Internet, per fantasticare i videogiochi, per essere felici i farmaci psicotropi o le droghe, per spostare oggetti le ruspe ed i caterpillar e le gru, per mietere le trebbiatrici. Prima, l'immensa creatività umana era presupposto della cosa, ora è corollario della stessa. Inversione dei ruoli. Quali sono i riflessi sociali? Invece di scambiare i sentimenti direttamente, ci serviamo di intermediari meccanici, che filtrano il contenuto emotivo, dando ad ogni evento una veste sterile, piatta, scialba, irrilevante per i nostri sensi sopiti. Ci si scandalizza se oggi gli omicidi efferati non producono più scandalo, ma ciò avviene perché facciamo esperienza di tutto con accidia ed indolenza, senza "succhiare il midollo della vita", bensì limitandoci a guardarlo di sbieco e tramite le lenti dei nostri occhiali. Questo provoca una conseguenza abominevole: noi ci meccanizziamo, assumendo connotati tipici del computer. Si dice che il computer è intelligente; io dico che è deficiente chi lo asserisce. Esso, come tutte le macchine, risulta privo della capacità raziocinante che ci consente di discernere l'equità, il bilanciamento, la moderazione: se un dato rientra nei parametri del programma, si scatena un effetto; se ne resta fuori anche di un valore infinitesimale, il processore va in ferie con tanto di ghigno perfido. Trasferiamo questo nella nostra esperienza empirica. Se qualcuno ti rispetta, tutto procede secondo il programma; se invece mette a rischio il tuo orticello (e spesso si tratta di una visione distorta, maniacale e perversa dell'altro), allora egli è il nemico e, per definizione, il nemico va ucciso, in quanto è colui che nega la tua esistenza, violando il tuo istinto di sopravvivenza. Calza perfettamente con questo palinsesto l'omicidio di un giovane da parte di alcuni balordi per aver negato loro una sigaretta. Tutte queste considerazioni conducono alla seconda causa.
SECONDA CAUSA: MATERIALISMO.
Se l'uomo non può condurre una vita agiata senza le cose, sono le cose ad esser messe sul trono come oggetti prioritari del desiderio. Tutto il resto è mero accidente, ossia un contesto transeunte (oggi presente, domani scomparso), che non rileva per l'azione umana, perché non produce benefici. Il refolo di vento che sfiora l'epidermide, sollecitando i recettori, il sorriso di una persona cara, l'effluvio delle corolle dei prati, la luce sfavillante delle stelle notturne, tutto ciò finisce dietro le quinte. Quali sono invece le primedonne di quest'opera teatrale? Il danaro ed il potere. Il danaro è il mezzo generico per procurarsi le cose specifiche, quelle che producono un vantaggio intenso ma di moderata estensione: lo yacht per le gite in mare, l'albergo a venti stelle per essere servito e riverito, l'abito del tal stilista per suscitare invidia negli altri e così via. Il potere è il contrappasso dell'anima. L'uomo avverte inconsciamente di essere schiavo delle cose, perciò matura un desiderio sfrenato e folle di dominio sui simili, allo scopo di compensare quest'innaturale sudditanza che lo avvinghia senza scampo. Un potere tanto più illimitato quanto più la spire di avvilimento di stringe, soffocando il nucleo stesso dell'uomo. Un potere da conquistarsi con ogni metodo subdolo, violento, ingordo e profittatore che capita a tiro. Un potere sulle persone volto a bilanciare il potere delle cose sulla persona che ricerca il potere sulle persone dopo aver dato alle cose il potere di spadroneggiare su di lei. Un circolo macabro, uno stupro dell'esistenza umana, questo è.
L'uomo materialista non contempla l'ambito spirituale fra i propri canoni intellettivi e ciò avviene per due ragioni. Prima di tutto, chi vive soltanto di cose sensibili non mostra interesse verso tutto ciò che tale non sia; poi, se anche ne ha cognizione, mira a sopprimerne la credenza, perché sullo spirito l'uomo non ha potere e questo lo getta nello sconforto, in quanto vanifica ogni progetto di dominio che utopisticamente la mente malata pensa di poter attuare asservendo tutti a sé, dunque anche la voce del daimon viene tacitata. Hegel parlava della dialettica servo-padrone. Il servo è autonomo, perché si procura con le proprie mani il necessario per vivere (oltre a procurarlo al suo proprietario); il padrone è dipendente, perché non è capace di far nulla da sé, avendo intorno eserciti di collaboratori e schiavi. Il servo è autonomo ma non libero; il padrone è dipendente ma libero. L'autonomia è una condizione intrinseca dell'individuo, mentre la libertà attiene al mondo esteriore ed è codificata da norme e tradizioni (lo schiavo è tale perché la legge lo prevede): peccato che la prima surclassi la seconda, col risultato precipuo che il servo diviene libero (oltre che autonomo) e che il padrone diventa servo (oltreché dipendente). La forma soccombe dinanzi alla sostanza.
E fu così che Claudio si laureò in sociologia.
PRIMA CAUSA: MECCANIZZAZIONE DEL VIVERE.
I mezzi fisici sono concepiti per servire l'uomo e servire all'uomo. Sono, cioè, a noi subordinati come la creatura lo è al creatore, ma allo stesso tempo ci giovano, semplificandoci l'esistenza. Il mio prof di fisica al liceo diceva che l'uomo è intrinsecamente pigro, perché cerca la massima utilità col minimo sforzo. Purtroppo l'uomo non comprende spesso che il minimo sforzo che impiega è quello bastevole alla massima utilità del giorno dopo, ma ad un'accurata, lucida e savia riflessione dell'intelletto, il nostro agire è antieconomico sul medio e lungo termine. Le macchine ci consentono di risparmiare fatica, ma ci esimono altresì dal ragionare, favorendo l'atrofizzazione del cervello. Gli antichi marinai sapevo orientarsi con eccezionale precisione, usando la vista propria, una buona cartina e, più recentemente, piccoli arnesi ausiliari, come il sestante. Anche all'epoca la mente si appoggiava a strumenti ad essa estranei, ma da essa concepiti, tuttavia con due fondamentali differenze. La prima è che encefalo e strumento di navigazione lavoravano in sinergia, combinando le loro potenzialità onde valicare i limiti propri della mente e dello strumento separatamente operanti. In secondo luogo, il marinaio aveva padronanza piena dell'aggeggio, perché, se non aveva provveduto lui a costruirlo, almeno ne conosceva ampiamente le funzioni ed aveva ben presenti i metodi per assicurarne il massimo rendimento. Oggi non è più così. I marinai usano un bel sistema GPS e lasciano al computer il controllo totale: non c'è più sinergia, bensì avvicendamento. Se comunque l'equipaggio sapesse a menadito il principio di funzionamento del sistema, si potrebbe ancora sperare che sia l'uomo ad avere il dominio della macchina, ma mala sorte vuole che queste conoscenze tecniche siano riservate ai pochi eletti che prestano la propria attività intellettuale e manuale presso le aziende elettronico-informatiche.
Se ne deduce che l'uomo è succube del prodotto suo, né sa vivere senza di esso, e non si tratta di un problema circoscritto alle applicazioni oggettivamente complesse, come la navigazione: è piuttosto un fenomeno generalizzato. Per relazionarci usiamo i cellulari e la televisione, per scrivere il computer, per le faccende di casa una miriade di elettrodomestici, per viaggiare le auto, per studiare Internet, per fantasticare i videogiochi, per essere felici i farmaci psicotropi o le droghe, per spostare oggetti le ruspe ed i caterpillar e le gru, per mietere le trebbiatrici. Prima, l'immensa creatività umana era presupposto della cosa, ora è corollario della stessa. Inversione dei ruoli. Quali sono i riflessi sociali? Invece di scambiare i sentimenti direttamente, ci serviamo di intermediari meccanici, che filtrano il contenuto emotivo, dando ad ogni evento una veste sterile, piatta, scialba, irrilevante per i nostri sensi sopiti. Ci si scandalizza se oggi gli omicidi efferati non producono più scandalo, ma ciò avviene perché facciamo esperienza di tutto con accidia ed indolenza, senza "succhiare il midollo della vita", bensì limitandoci a guardarlo di sbieco e tramite le lenti dei nostri occhiali. Questo provoca una conseguenza abominevole: noi ci meccanizziamo, assumendo connotati tipici del computer. Si dice che il computer è intelligente; io dico che è deficiente chi lo asserisce. Esso, come tutte le macchine, risulta privo della capacità raziocinante che ci consente di discernere l'equità, il bilanciamento, la moderazione: se un dato rientra nei parametri del programma, si scatena un effetto; se ne resta fuori anche di un valore infinitesimale, il processore va in ferie con tanto di ghigno perfido. Trasferiamo questo nella nostra esperienza empirica. Se qualcuno ti rispetta, tutto procede secondo il programma; se invece mette a rischio il tuo orticello (e spesso si tratta di una visione distorta, maniacale e perversa dell'altro), allora egli è il nemico e, per definizione, il nemico va ucciso, in quanto è colui che nega la tua esistenza, violando il tuo istinto di sopravvivenza. Calza perfettamente con questo palinsesto l'omicidio di un giovane da parte di alcuni balordi per aver negato loro una sigaretta. Tutte queste considerazioni conducono alla seconda causa.
SECONDA CAUSA: MATERIALISMO.
Se l'uomo non può condurre una vita agiata senza le cose, sono le cose ad esser messe sul trono come oggetti prioritari del desiderio. Tutto il resto è mero accidente, ossia un contesto transeunte (oggi presente, domani scomparso), che non rileva per l'azione umana, perché non produce benefici. Il refolo di vento che sfiora l'epidermide, sollecitando i recettori, il sorriso di una persona cara, l'effluvio delle corolle dei prati, la luce sfavillante delle stelle notturne, tutto ciò finisce dietro le quinte. Quali sono invece le primedonne di quest'opera teatrale? Il danaro ed il potere. Il danaro è il mezzo generico per procurarsi le cose specifiche, quelle che producono un vantaggio intenso ma di moderata estensione: lo yacht per le gite in mare, l'albergo a venti stelle per essere servito e riverito, l'abito del tal stilista per suscitare invidia negli altri e così via. Il potere è il contrappasso dell'anima. L'uomo avverte inconsciamente di essere schiavo delle cose, perciò matura un desiderio sfrenato e folle di dominio sui simili, allo scopo di compensare quest'innaturale sudditanza che lo avvinghia senza scampo. Un potere tanto più illimitato quanto più la spire di avvilimento di stringe, soffocando il nucleo stesso dell'uomo. Un potere da conquistarsi con ogni metodo subdolo, violento, ingordo e profittatore che capita a tiro. Un potere sulle persone volto a bilanciare il potere delle cose sulla persona che ricerca il potere sulle persone dopo aver dato alle cose il potere di spadroneggiare su di lei. Un circolo macabro, uno stupro dell'esistenza umana, questo è.
L'uomo materialista non contempla l'ambito spirituale fra i propri canoni intellettivi e ciò avviene per due ragioni. Prima di tutto, chi vive soltanto di cose sensibili non mostra interesse verso tutto ciò che tale non sia; poi, se anche ne ha cognizione, mira a sopprimerne la credenza, perché sullo spirito l'uomo non ha potere e questo lo getta nello sconforto, in quanto vanifica ogni progetto di dominio che utopisticamente la mente malata pensa di poter attuare asservendo tutti a sé, dunque anche la voce del daimon viene tacitata. Hegel parlava della dialettica servo-padrone. Il servo è autonomo, perché si procura con le proprie mani il necessario per vivere (oltre a procurarlo al suo proprietario); il padrone è dipendente, perché non è capace di far nulla da sé, avendo intorno eserciti di collaboratori e schiavi. Il servo è autonomo ma non libero; il padrone è dipendente ma libero. L'autonomia è una condizione intrinseca dell'individuo, mentre la libertà attiene al mondo esteriore ed è codificata da norme e tradizioni (lo schiavo è tale perché la legge lo prevede): peccato che la prima surclassi la seconda, col risultato precipuo che il servo diviene libero (oltre che autonomo) e che il padrone diventa servo (oltreché dipendente). La forma soccombe dinanzi alla sostanza.
E fu così che Claudio si laureò in sociologia.