Teoria della Trinità e dell'Autonomia
Inviato: gio 01/ago/2013 12:36:57
In questi anni si è più o meno analiticamente discettato dei tratti costitutivi del Daimonismo, della collocazione del daimon nell'edificio della psiche e del suo ruolo esistenziale, delle tecniche introspettive, ma non si è dedicata sufficiente attenzione all'argomentazione dell'utilità di questa filosofia, al suo inestimabile contributo per la libertà interiore e l'autorealizzazione personale. Su questo tema intendo oggi concentrarmi.
Le armi della società per il controllo dell'individuo e l'induzione dello stesso a comportamenti (e talvolta a pensieri e sentimenti) conformi al volere della società medesima, dunque delle persone che ne detengono le leve del potere o costituiscono la maggioranza in seno ad essa, sono tre: ius, mos e fas.
Il ius (la i è semiconsonantica: j) è il diritto, nella sua concreta articolazione storicamente definita e nella sua potenzialità giuridica: complesso di norme assistite da sanzioni, implementate con l'uso della vis, la forza fisica, che concernono l'agire, l'esteriorità, l'empiricamente percepibile, e disciplinano ciò che è giusto o ingiusto fare secondo il metro dell'oggettiva dannosità o pericolosità sociale: viene proibito ciò che può ledere, o concretamente lede, i diritti altrui, ossia quelle sole condotte che risultino, in base al parametro deontico espresso dalla valutazione discrezionale del parlamento in armonia con la costituzione, oggettivamente pregiudizievoli per la convivenza civile. Il ius trascura il pensiero, i sentimenti e le emozioni, che non si traducono in fatti, nonché quei fatti privati che sono socialmente indifferenti: l'amore, l'amicizia, l'arte, il gusto estetico etc., nonché le scelte dei singoli se farsi o no, e come, una famiglia, se andare o no, e come, in vacanza, se coltivare o no, e come, un passatempo, se perseguire o no, e come, un progetto di vita fondato sulla programmazione o sull'improvvisazione, e così via.
Il mos è il costume dominante, la morale comune, quel complesso di precetti non scritti e non formalizzati che un popolo o un gruppo ritengono di osservare nei rapporti interprivati, a supplemento e talvolta in aperta opposizione al ius, avvertito come lontano dal sentimento della massa. Il mos ha mezzi di coazione non meno potenti del diritto: la norma viene imposta tramite una res, una ritualità ripetuta per lunga e consolidata tradizione, che si insinua nella mente dei singoli con l'abitudine, sfruttando quel senso di naturalezza ed ovvietà che circonda fisiologicamente tutto ciò che è comunemente, frequentemente praticato; per gli immorali scattano l'emarginazione, il disprezzo sociale, la discriminazione, che privano l'individuo dell'affettività e dell'approvazione necessarie per il suo benessere, costringendolo a rivedere le proprie trasgressioni, e non di rado si manifestano, ad ulteriore compressione della libertà, le aggressioni dei facinorosi, che fanno ricorso alla violenza extralegale per una sorta di barbaro ripristino dell'ordine violato. La morale tocca tutti i fatti esteriori, non soltanto quelli aventi rilevanza pubblica: prescrive come accogliere gli ospiti in casa propria, quali sono le formule di cortesia, quali atteggiamenti vanno tenuti nelle varie ricorrenze e feste c.d. comandate, come trattare gli amici, come iniziare, condurre e troncare una relazione amorosa, come stare a tavola e via discorrendo.
Infine, il fas, il comandamento religioso, la regola apoditticamente sancita quale espressione della volontà divina, variamente interpretata ed implementata dai sacerdoti del clero. La religiosità viene edificata sfruttando le paure innate dell'uomo (la morte, il lutto, la malattia, la miseria...) ed offrendo un'impalcatura dottrinale consolatoria, generalmente imperniata su un dio buono, onnisciente ed onnipotente che veglia sul fedele, lo guida, lo solleva dal bisogno, lo punisce e lo perdona per le sue condotte faste o nefaste (aggettivi da intendere in senso strettamente etimologico). Il fas si impone con l'ars, con la magnificazione letteraria, figurativa e musicale della possente divinità e della sua schiera di coadiutori e profeti e santi. Quando la raffigurazione è proibita, vi è pur sempre un testo sacro che allude al sublime, a ciò che trascende l'umana comprensione, meritevole di fede cieca ed incondizionata, di un atto di abbandono alla divinità ed al suo volere. Le pene per i miscredenti sono generalmente ultraterrene, eterne, tremende ed orripilanti, ma non mancano violenze anche capitali perpetrate sul corpo del colpevole. La religione non tocca soltanto i fatti, ma anche i pensieri, i sentimenti e le emozioni, mediante l'assioma dell'onniscienza divina, che scruta le coscienze e scova il peccato anche nascosto: le tentazioni, i desideri impuri (non soltanto sessuali), i pensieri malvagi e persino il dubbio dottrinale sono pesantemente riprovati.
Il daemian parte da una considerazione preliminare e su di essa costruisce la propria affrancazione esistenziale: ius, mos e fas sono complessi deontici eteronomi, regole esterne all'individuo, che questi in minima o nulla parte concorre a formare, che ne plasmano la vita interiore e le azioni, astrattamente (e persino concretamente, nei Paesi tirannici, sia laici che teocratici) in grado di annientare la sua individualità, il suo essere un soggetto autocosciente, intrinsecamente dotato di libertà in quanto capace di sottrarsi al dominio meccanicistico dell'istinto. La Trinità Deontica è il giogo del mondo sull'uomo, l'arma con la quale egli viene ridotto ad esemplare, a vivente indifferenziato nella massa dei suoi simili, a pecora nel gregge, ad ingranaggio nel meccanismo, ad attore nella messinscena. Ebbene, il daemian sa che, per emanciparsi dal vincolo opprimente del mondo, deve sfoderare la propria arma, non meno potente e non meno efficace di quella che lo tiene soggiogato: il daimon, il proprio nucleo unico ed irripetibile di personalità, ciò che lo rende diverso da tutti gli altri esseri umani della storia, del presente e dell'avvenire, sia sulla Terra che in qualunque altro luogo del Cosmo. Il daimon è la fonte della libertà, la garanzia ultima della soggettività umana, della sua non riduzione a strumento, a cosa, a pedina, è il baluardo contro l'alienazione e la risorsa primaria dell'autorealizzazione e, con essa, della piena felicità. Tramite luii, l'uomo può faticosamente incamminarsi sulla via dell'autonomia. L'autonomo non è l'anarchico, non è l'egoista criminale, non è il cinico, non è il mostro che fa a brandelli la società a proprio uso e consumo, no, queste sono dozzinali e grossolane banalizzazioni, la cui falsità è marchiana ed incontrovertibile: l'autonomo è l'uomo che sa distinguere la sfera personale dalla sfera sociale e sa essere imperatore nella prima e cittadino nella seconda. La strada dell'autonomia prevede due stadi.
Nell'ambito interiore la sovranità dell'individuo è totale, assoluta, quasi divina: dei propri pensieri, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti ciascuno è signore e padrone incontrastato, non deve renderne conto, non deve vergognarsene, non deve nasconderli, non deve reprimerli. La mente è il luogo deputato alla ponderazione, dove si soppesa, con assoluta franchezza, ogni singolo elemento del marasma psichico e si decide come orientare la propria volontà. La decisione determina il transito dall'interiore all'esteriore, dall'esclusivamente personale al non solo personale: prima di questo sbarramento, l'uomo non ha alcuna regola, se non quelle che egli, in armonia col proprio daimon, ritenga insindacabilmente di darsi per una migliore gestione dei contenuti psichici. Questa scontata ma non diffusa constatazione costituisce la prima tappa del percorso autonomistico proprio del Daimonismo.
Nell'ambito esteriore la sovranità individuale va razionalmente bilanciata coi vincoli sociali e questo contemperamento dà vita al binomio libertà/responsabilità: puoi fare ciò che vuoi, ma, se la tua condotta lede l'eguale libertà degli altri, ne pagherai le conseguenze. L'insegnamento kantiano è illuminante al riguardo: il rispetto dell'alterità non è un limite alla propria libertà, ma l'essenza stessa della libertà. Se nessuno rispettasse nessuno, allora logicamente seguirebbe che nessuno può rivendicare una propria libertà contro le ingerenze estranee, donde lo stato di natura, la legge del più forte, il bellum omnium contra omnes, saggiamente evocati da Hobbes. Il daemian è consapevole che i propri comportamenti incidono sui comportamenti altrui e pratica una giusta mediazione tra le proprie ed altrui istanze. Ha, altresì, contezza del fatto che l'incidenza dei propri comportamenti sugli altrui sentimenti è tendenzialmente irrilevante: allorché si riconosce la piena sovranità dell'individuo sulla propria interiorità, ne consegue che essa non può valere come limite alla libertà altrui, ché, se un tale limite fosse presente, chi lo subisce potrebbe legittimamente sindacare sull'interiorità del primo soggetto, per valutare la ragionevolezza del limite stesso che da essa scaturisce, con conseguente affievolimento della sovranità dianzi riconosciuta. Non rientra tra gli scopi di questa teoria, né del Daimonismo nel suo complesso, offrire risposte circa il modo esatto per armonizzare l'Io col Noi, il Proprio con l'Altrui, il Diritto col Dovere. Invero, tali risposte non esistono. Piuttosto, il Daimonismo insegna che l'etica è metodica, non dogmatica: il daemian non possiede le tavole dei comandamenti, ma l'attitudine mentale ad estrarre il giusto, il conveniente e l'opportuno dalle circostanze che concretamente si presentano di volta in volta. Questo permette di essere se stessi, senza gli eccessi dell'infante o del criminale, e, al contempo, protegge dall'alienazione, dall'assoggettamento a visioni del mondo e comportamenti e pensieri stereotipati provenienti da fuori, donde la felicità, che mi piace definire come conseguenza necessaria di tre condizioni congiuntamente ricorrenti: 1) esistenza di un libero desiderio (sovranità totale sull'interiorità, senza censura, mistificazioni, colpevolizzazioni e simili); 2) ottenimento dell'oggetto del desiderio (qualora, nel bilanciamento tra Personalità e Mondo, prevalga la prima); 3) mancanza di desiderio riguardo a ciò che non può ottenersi (qualora, nel predetto bilanciamento, prevalga il secondo). Come già scrissi altrove, "con la maturazione della coscienza critica, il daimon si stabilizza e la questione si sposta sulla necessità di armonizzare il daimon ed il mondo esterno nel carattere umano".
Così è scritto, l'argomento è spedito.
Le armi della società per il controllo dell'individuo e l'induzione dello stesso a comportamenti (e talvolta a pensieri e sentimenti) conformi al volere della società medesima, dunque delle persone che ne detengono le leve del potere o costituiscono la maggioranza in seno ad essa, sono tre: ius, mos e fas.
Il ius (la i è semiconsonantica: j) è il diritto, nella sua concreta articolazione storicamente definita e nella sua potenzialità giuridica: complesso di norme assistite da sanzioni, implementate con l'uso della vis, la forza fisica, che concernono l'agire, l'esteriorità, l'empiricamente percepibile, e disciplinano ciò che è giusto o ingiusto fare secondo il metro dell'oggettiva dannosità o pericolosità sociale: viene proibito ciò che può ledere, o concretamente lede, i diritti altrui, ossia quelle sole condotte che risultino, in base al parametro deontico espresso dalla valutazione discrezionale del parlamento in armonia con la costituzione, oggettivamente pregiudizievoli per la convivenza civile. Il ius trascura il pensiero, i sentimenti e le emozioni, che non si traducono in fatti, nonché quei fatti privati che sono socialmente indifferenti: l'amore, l'amicizia, l'arte, il gusto estetico etc., nonché le scelte dei singoli se farsi o no, e come, una famiglia, se andare o no, e come, in vacanza, se coltivare o no, e come, un passatempo, se perseguire o no, e come, un progetto di vita fondato sulla programmazione o sull'improvvisazione, e così via.
Il mos è il costume dominante, la morale comune, quel complesso di precetti non scritti e non formalizzati che un popolo o un gruppo ritengono di osservare nei rapporti interprivati, a supplemento e talvolta in aperta opposizione al ius, avvertito come lontano dal sentimento della massa. Il mos ha mezzi di coazione non meno potenti del diritto: la norma viene imposta tramite una res, una ritualità ripetuta per lunga e consolidata tradizione, che si insinua nella mente dei singoli con l'abitudine, sfruttando quel senso di naturalezza ed ovvietà che circonda fisiologicamente tutto ciò che è comunemente, frequentemente praticato; per gli immorali scattano l'emarginazione, il disprezzo sociale, la discriminazione, che privano l'individuo dell'affettività e dell'approvazione necessarie per il suo benessere, costringendolo a rivedere le proprie trasgressioni, e non di rado si manifestano, ad ulteriore compressione della libertà, le aggressioni dei facinorosi, che fanno ricorso alla violenza extralegale per una sorta di barbaro ripristino dell'ordine violato. La morale tocca tutti i fatti esteriori, non soltanto quelli aventi rilevanza pubblica: prescrive come accogliere gli ospiti in casa propria, quali sono le formule di cortesia, quali atteggiamenti vanno tenuti nelle varie ricorrenze e feste c.d. comandate, come trattare gli amici, come iniziare, condurre e troncare una relazione amorosa, come stare a tavola e via discorrendo.
Infine, il fas, il comandamento religioso, la regola apoditticamente sancita quale espressione della volontà divina, variamente interpretata ed implementata dai sacerdoti del clero. La religiosità viene edificata sfruttando le paure innate dell'uomo (la morte, il lutto, la malattia, la miseria...) ed offrendo un'impalcatura dottrinale consolatoria, generalmente imperniata su un dio buono, onnisciente ed onnipotente che veglia sul fedele, lo guida, lo solleva dal bisogno, lo punisce e lo perdona per le sue condotte faste o nefaste (aggettivi da intendere in senso strettamente etimologico). Il fas si impone con l'ars, con la magnificazione letteraria, figurativa e musicale della possente divinità e della sua schiera di coadiutori e profeti e santi. Quando la raffigurazione è proibita, vi è pur sempre un testo sacro che allude al sublime, a ciò che trascende l'umana comprensione, meritevole di fede cieca ed incondizionata, di un atto di abbandono alla divinità ed al suo volere. Le pene per i miscredenti sono generalmente ultraterrene, eterne, tremende ed orripilanti, ma non mancano violenze anche capitali perpetrate sul corpo del colpevole. La religione non tocca soltanto i fatti, ma anche i pensieri, i sentimenti e le emozioni, mediante l'assioma dell'onniscienza divina, che scruta le coscienze e scova il peccato anche nascosto: le tentazioni, i desideri impuri (non soltanto sessuali), i pensieri malvagi e persino il dubbio dottrinale sono pesantemente riprovati.
Il daemian parte da una considerazione preliminare e su di essa costruisce la propria affrancazione esistenziale: ius, mos e fas sono complessi deontici eteronomi, regole esterne all'individuo, che questi in minima o nulla parte concorre a formare, che ne plasmano la vita interiore e le azioni, astrattamente (e persino concretamente, nei Paesi tirannici, sia laici che teocratici) in grado di annientare la sua individualità, il suo essere un soggetto autocosciente, intrinsecamente dotato di libertà in quanto capace di sottrarsi al dominio meccanicistico dell'istinto. La Trinità Deontica è il giogo del mondo sull'uomo, l'arma con la quale egli viene ridotto ad esemplare, a vivente indifferenziato nella massa dei suoi simili, a pecora nel gregge, ad ingranaggio nel meccanismo, ad attore nella messinscena. Ebbene, il daemian sa che, per emanciparsi dal vincolo opprimente del mondo, deve sfoderare la propria arma, non meno potente e non meno efficace di quella che lo tiene soggiogato: il daimon, il proprio nucleo unico ed irripetibile di personalità, ciò che lo rende diverso da tutti gli altri esseri umani della storia, del presente e dell'avvenire, sia sulla Terra che in qualunque altro luogo del Cosmo. Il daimon è la fonte della libertà, la garanzia ultima della soggettività umana, della sua non riduzione a strumento, a cosa, a pedina, è il baluardo contro l'alienazione e la risorsa primaria dell'autorealizzazione e, con essa, della piena felicità. Tramite luii, l'uomo può faticosamente incamminarsi sulla via dell'autonomia. L'autonomo non è l'anarchico, non è l'egoista criminale, non è il cinico, non è il mostro che fa a brandelli la società a proprio uso e consumo, no, queste sono dozzinali e grossolane banalizzazioni, la cui falsità è marchiana ed incontrovertibile: l'autonomo è l'uomo che sa distinguere la sfera personale dalla sfera sociale e sa essere imperatore nella prima e cittadino nella seconda. La strada dell'autonomia prevede due stadi.
Nell'ambito interiore la sovranità dell'individuo è totale, assoluta, quasi divina: dei propri pensieri, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti ciascuno è signore e padrone incontrastato, non deve renderne conto, non deve vergognarsene, non deve nasconderli, non deve reprimerli. La mente è il luogo deputato alla ponderazione, dove si soppesa, con assoluta franchezza, ogni singolo elemento del marasma psichico e si decide come orientare la propria volontà. La decisione determina il transito dall'interiore all'esteriore, dall'esclusivamente personale al non solo personale: prima di questo sbarramento, l'uomo non ha alcuna regola, se non quelle che egli, in armonia col proprio daimon, ritenga insindacabilmente di darsi per una migliore gestione dei contenuti psichici. Questa scontata ma non diffusa constatazione costituisce la prima tappa del percorso autonomistico proprio del Daimonismo.
Nell'ambito esteriore la sovranità individuale va razionalmente bilanciata coi vincoli sociali e questo contemperamento dà vita al binomio libertà/responsabilità: puoi fare ciò che vuoi, ma, se la tua condotta lede l'eguale libertà degli altri, ne pagherai le conseguenze. L'insegnamento kantiano è illuminante al riguardo: il rispetto dell'alterità non è un limite alla propria libertà, ma l'essenza stessa della libertà. Se nessuno rispettasse nessuno, allora logicamente seguirebbe che nessuno può rivendicare una propria libertà contro le ingerenze estranee, donde lo stato di natura, la legge del più forte, il bellum omnium contra omnes, saggiamente evocati da Hobbes. Il daemian è consapevole che i propri comportamenti incidono sui comportamenti altrui e pratica una giusta mediazione tra le proprie ed altrui istanze. Ha, altresì, contezza del fatto che l'incidenza dei propri comportamenti sugli altrui sentimenti è tendenzialmente irrilevante: allorché si riconosce la piena sovranità dell'individuo sulla propria interiorità, ne consegue che essa non può valere come limite alla libertà altrui, ché, se un tale limite fosse presente, chi lo subisce potrebbe legittimamente sindacare sull'interiorità del primo soggetto, per valutare la ragionevolezza del limite stesso che da essa scaturisce, con conseguente affievolimento della sovranità dianzi riconosciuta. Non rientra tra gli scopi di questa teoria, né del Daimonismo nel suo complesso, offrire risposte circa il modo esatto per armonizzare l'Io col Noi, il Proprio con l'Altrui, il Diritto col Dovere. Invero, tali risposte non esistono. Piuttosto, il Daimonismo insegna che l'etica è metodica, non dogmatica: il daemian non possiede le tavole dei comandamenti, ma l'attitudine mentale ad estrarre il giusto, il conveniente e l'opportuno dalle circostanze che concretamente si presentano di volta in volta. Questo permette di essere se stessi, senza gli eccessi dell'infante o del criminale, e, al contempo, protegge dall'alienazione, dall'assoggettamento a visioni del mondo e comportamenti e pensieri stereotipati provenienti da fuori, donde la felicità, che mi piace definire come conseguenza necessaria di tre condizioni congiuntamente ricorrenti: 1) esistenza di un libero desiderio (sovranità totale sull'interiorità, senza censura, mistificazioni, colpevolizzazioni e simili); 2) ottenimento dell'oggetto del desiderio (qualora, nel bilanciamento tra Personalità e Mondo, prevalga la prima); 3) mancanza di desiderio riguardo a ciò che non può ottenersi (qualora, nel predetto bilanciamento, prevalga il secondo). Come già scrissi altrove, "con la maturazione della coscienza critica, il daimon si stabilizza e la questione si sposta sulla necessità di armonizzare il daimon ed il mondo esterno nel carattere umano".
Così è scritto, l'argomento è spedito.