Teoria della Monade e della Stabilizzazione
Inviato: gio 19/lug/2012 16:28:36
Perdonatemi, non resisto ai nomi altisonanti, specie quando si tratta di esplorare nuove frontiere del nostro meraviglioso movimento filosofico.
Da tempo rifletto sul metodo più efficace per tramutare i concetti del Daimonismo in altri di eguale tenore e maggiore familiarità, per tradurre la forma senza alterare la sostanza. Credo di essere giunto a conclusioni soddisfacenti, sospinto in questo dal brio per le vacanze che mi scorre nelle vene e mi agevola nelle speculazioni.
Uomo e daimon, unicità e duplicità, uguali e diversi, anima o caronte tra i livelli dell'anima... A questo linguaggio circonvoluto dobbiamo attribuire la diffidenza degli ascoltatori: una persona non particolarmente versata nell'autocritica e nella psicologia, che ragiona per luoghi comuni, ha il piatto d'argento già pronto per fraintendere. Questa minorazione, questa zavorra, questo intralcio comunicativo deve finire: non abbiamo speranze di suscitare l'interesse con terminologie da semi-iniziati di una setta esoterica.
Cos'è il daimon? Il daimon è la personalità, l'interiorità, l'essere. Metaforicamente, il magma.
Cos'è l'uomo? L'uomo è il carattere, l'esteriorità, l'apparire. Metaforicamente, la lava.
Queste le premesse sistematiche. Il difficile sta nel riempire di senso e di effettività queste categorie, intrecciate e reciprocamente dipendenti oltre ogni dire. Partiamo dalla metafora. Il magma ha determinate proprietà fisiche e chimiche, che lo connotano durante tutto il viaggio dal nucleo terrestre ai più alti camini vulcanici. Durante l'eruzione, tuttavia, qualcosa si trasforma: il magma entra in contatto con l'atmosfera ed entrambe ne riescono sovvertite. Il primo si raffredda, muta la composizione chimica per effetto di complesse reazioni, aumenta la vischiosità, fino a formare quegli agglomerati bucherellati solidi che tutti conosciamo. L'aria, dal canto suo, accoglie nuovi gas, si surriscalda di migliaia di gradi e diventa più leggera. In breve, tra le due componenti, inizialmente separate, al momento del contatto si avvia un procedimento di vicendevole adattamento, finché si consegue un nuovo equilibrio termico, fisico e chimico. L'interazione del daimon con la socialità, con la realtà fattuale, nonché con altri esseri senzienti, produce conseguenze assimilabili alle precedenti. La socializzazione non è altro che una migrazione dei numerosi Io verso una piattaforma di Noi soddisfacente per la totalità o per la maggior parte degli Io che concorrono all'operazione. Nel vivere associato si rinuncia a taluna delle libertà domestiche in vista di una creanza collettiva che consenta la comunicazione ed il rispetto, almeno sui livelli essenziali per la pacifica convivenza. Il bambino è tutto proiettato dentro di sé: durante l'infanzia prevale il daimon, la purezza magmatica, e gli influssi dell'atmosfera su di esso sono sporadici e deboli. Il bambino è egoista, esige che i suoi problemi e le sue necessità valgano universalmente per tutti gli individui che si relazionano con lui. In verità, non c'è una relazione bilaterale, ma una pretesa unilaterale simboleggiata dalla forza attrattiva di un pianeta che mantiene il satellite in orbita. Col progredire del calendario, il satellite acquista massa, a scapito del pianeta, e gli equilibri gravitazionali vengono compromessi. L'infante apprende che i genitori non sono i suoi schiavi, impara il senso del no, è costretto a fare i conti con desideri insoddisfatti e piagnistei insufficienti a far trionfare i suoi capricci. Comincia, insomma, ad avvertire il peso, la costrizione, le briglie di una socialità condizionante, che vincola l'Io entro uno schema di possibilità che non dipende più dalla sola volontà dell'Io: altri attori appaiono sul palco ed il protagonista vede ridimensionato il proprio spazio scenico. Il bambino si avvicina all'età scolare. In questa fase, egli percepisce un limite alla sua sfera d'azione, un limite non materiale, non dettato dalla finitudine delle forze fisiche, bensì morale, comportamentale, sociale, caratteriale. Nel soggetto viziato questo processo è più lento del consueto ed il rapporto personalità/carattere è eccessivamente sbilanciato in favore della prima.
Si avvicina l'adolescenza e, con essa, fanno capolino gli ardori ormonali. Tornando alla nostra amata vulcanologia, si assiste ad una nuova, potente risalita di magma dalle viscere del pianeta, una nuova ventata di Io che lotta per imporsi, per conseguire il riconoscimento della propria dignità e libertà. Così, le paternali genitoriali diventano sempre più fastidiose, la voglia di spezzare la coltre di regole e vincoli si manifesta in una deflagrante ondata trasgressiva. La personalità cerca la rivincita su un carattere troppo stretto. Il ruolo del bambino è di minorità e soggezione, di obbedienza e remissività, ma le rinnovate energie psicofisiche, connesse con la pubertà, rendono inaccettabili le catene ed auspicabili opportunità decisionali del tutto inedite. L'adolescente si ribella, la sua personalità tenta nuovamente di prendere il sopravvento sul carattere, aspira a riforgiare il mondo a sua immagine e somiglianza: la contestazione e gli impeti rivoluzionari ne sono il frutto più eclatante. Al contempo, l'adolescente non è un neonato: l'esperienza gli ha ormai insegnato che la sua volontà si scontra con quella di altri enti pensanti. Da ciò la crisi, dunque la consapevolezza. Da un lato, la carica sessuale sprona all'affermazione di sé, talvolta con mezzi violenti; dall'altro, la quotidianità mostra implacabili testimonianze di come la realtà sia destinata a trionfare sul soggettivismo, di come, volente o nolente, l'individuo subisca i contrappesi dello Stato, della società, della famiglia. Le manie di onnipotenza nascono con le ali tarpate, perché ad un bisogno di librarsi nel cielo si associa l'amara contezza di una zavorra ineliminabile ai piedi. Ogni adolescente risolve questa dicotomia a modo proprio, e non v'è luogo a parlarne in questa sede.
Infine, la fase adulta. In essa, il carattere è nettamente preponderante sulla personalità. Le contingenze impediscono che sia altrimenti. Tutte le chiacchiere e le recriminazioni e le virulente proteste non tolgono il fatto che senza denaro non si campa, senza un lavoro si viene reietti dalla società, senza il rispetto delle leggi si subisce una pena. L'adulto sa che deve indossare i panni di un operaio chiamato a lavorare ad una catena di montaggio, la cui direzione e le cui finalità sono precluse al suo esame ed alla sua volontà. Funziona così, punto. Durante questo lungo periodo esistenziale, l'atmosfera del mondo esterno ha fatto largamente rapprendere il magma originario, trasfigurandolo totalmente. L'energia dirompente del flusso iniziale è scemata, la fluidità ha lasciato il posto ad una consistenza semisolida: non c'è speranza, per la lava, di avanzare di molti metri ancora. La società trionfa sul singolo. Quando, a conclusione del ciclo vitale classico, si approssima la morte, allora la vittoria diventa una sopraffazione radicale: il mio Io è condannato ad estinguersi per via di leggi naturali di miliardi di anni che del mio dolore, della mia disperazione, del mio bruciante desiderio di continuare a persistere se ne infischiano allegramente. Anzi, peggio. Non c'è nessuna volontà malvagia, nessun nemico contro cui combattere, solo un destino neutrale, imparziale, intransigente ed inesorabile.
Non è difficile cogliere il fenomeno di una progressiva emarginazione del daimon, anzi di una sua silenziosa e subdola trasformazione nell'uomo. Da soggetto pensante tutto proiettato in sé a pedina sociale incatenata da leggi e consuetudini che trascendono il singolo. Per carità, non intendo demonizzare la vita associata o soppiantarla con un'improbabile anarchia. La questione cruciale è vivere in gruppo senza smarrire se stessi. Annullarsi in favore del conformismo significa condannarsi ad una vita triste, grigia ed urticante. Prevaricare il prossimo per i propri capricci è criminale ed infantile. Come uscire dalle ganasce? Il daemian riconosce la necessità di separare i due ambiti (interiorità ed esteriorità) ed alza barriere a protezione dell'inviolabilità della sua personalità, del suo lato daimon: in pratica, si ritaglia uno spazio privatissimo, interdetto a tutti fuorché all'amato/a, dove può coltivare il proprio orto esistenziale senza l'inquinamento della vita cittadina. Ciò accade mediante una presa di consapevolezza ed un atto volitivo: presa di consapevolezza dell'unicità di ogni autocoscienza, dell'irripetibilità di un nucleo duro di identità personale sacro ed intangibile, e precisa volontà di intraprendere un percorso ricolmo di perigli e difficoltà, il percorso dell'eterna armonizzazione tra l'Io e l'Alterità o, per dirla alla Hegel, il percorso di Sintesi tra la Tesi e l'Antitesi. La scelta è ardua, perché prendere una lucida cognizione di ciò che ribolle dentro di sé, unita ad un'altrettanto lucida cognizione che solo una minima parte di quel magma potrà realizzarsi senza compromettersi come lava al vento, significa accettare le sferzate della frustrazione, della delusione, del senso di sconfitta dinanzi alla miriade di ambizioni incompiute. L'ignoranza è, per molti, una via preferibile. Eppure, la realtà non muta a causa del nostro sguardo distratto: possiamo fingere di essere perfettamente integrati e felici nella società, ma il magma dei nostri bisogni resterà latente e le frustrazioni non mancheranno, con l'aggravante di manifestarsi in forme inconsce, perciò più insidiose e meno controllabili, meno razionalizzabili, meno gestibili. Non vedere i problemi non giova a risolverli. Il daemian accetta i pesi ed i sacrifici che la strada più ripida comporta, ma ha la grandiosa opportunità di giungere a più elevate vette. Il daemian, sfruttando i vari metodi introspettivi, si avvede del daimon, ossia dei suoi più intimi e complessi stimoli esistenziali, e si prodiga per orientare il proprio carattere, la propria apparenza sociale, il proprio modo di porsi e di manifestarsi, nel senso più favorevole alla realizzazione esistenziale, e con ciò riduce i conflitti psichici e crea le premesse per una più solida e duratura felicità.
Giunti alla conclusione di queste semplici considerazioni, vi sottopongo una nuova nozione e due equazioni semantiche.
Monade = uomo+daimon
Per anni non abbiamo coniato una parola apposita per designare l'unità di carattere e personalità, di ciò che si è e di come si appare, dell'uomo e del daimon. Ora ne abbiamo l'opportunità. Dal greco, "monade" vuol dire "unità indivisibile" e mai espressione fu più azzeccata. L'essere autocosciente è uno ed uno solo, non c'è spazio per facili ironie sulla schizofrenia, sugli sdoppiamenti di personalità, sulle alienazioni mentali. Semplicemente, quasi banalmente, la monade è una moneta a due facce, una lastra di vetro: da un lato c'è la propulsione del daimon, della personalità, che vuole emergere, dunque una fornace di magma; dall'altro un refolo gelido, che condensa questi entusiasmi in forme stereotipate e predefinite di comportamento. Risulta evidente che lo sbalzo di temperatura tra l'interno e l'esterno può frantumare il vetro, ma la saggezza di un daemian consisterà nel trovare il modo, unico per ciascuna monade, di bilanciare caldo e freddo, genio e regola, daimon e realtà esterna. La monade, che nel bambino coincide interamente col daimon, durante la crescita subisce l'impatto di forze esterne, che la foggiano, facendo emergere la dimensione dell'uomo, del singolo in società, dell'Io-cogli-Altri, dell'Io-nel-Noi. Arricchita di questa nuova faccia, la monade vive nel perenne barcamenarsi tra le alternative della personalizzazione del carattere e della caratterizzazione della personalità: ciascuno, insomma, sceglierà se agevolare il lato personale o quello sociale, se essere refrattario o accondiscendente, se imporsi o tollerare, il tutto senza mai far estinguere una componente in favore dell'altra, senza mai cancellare il daimon per l'uomo o l'uomo per il daimon. Com'è facilmente intuibile, l'uomo senza daimon è un mero ingranaggio, un oggetto schiavo di dinamiche che lo superano, mentre il daimon senza uomo è un infante o un criminale, nell'uno come nell'altro caso incapace di relazionarsi col mondo. Resta perciò confermata la gravità inaudita dell'intercisione, della rottura di questa unità, tanto nel senso di una massificazione (e dunque annullamento) di sé, quanto nel senso di una radicale inettitudine alla vita associata. Chi si intercide, chi consente una definitiva sopraffazione di un lato sull'altro, si suicida, nel primo caso, come individuo e, nel secondo caso, come cittadino.
Daimon=Personalità e Uomo=Carattere sono già stati ampiamente illustrati e non richiedono ulteriori approfondimenti.
Un ultimo aspetto richiede attenzione. Nelle riflessioni precedenti è rimasta impregiudicata la questione dell'interferenza del mondo esterno sulla personalità, la quale non costituisce affatto un bagaglio identitario innato, bensì l'esito di complesse vicende riconducibili alle esperienze sensoriali ed alle elaborazioni razionali ed emotive del materiale sensibile acquisito. Insomma, il daimon non è puro spirito divino che lotta contro la società. Anche il daimon ha una matrice latamente sociale e specialmente familiare: gli insegnamenti genitoriali dei primi anni di vita influenzano notevolmente la formazione della personalità. Questa, tuttavia, una volta consolidatasi, non si presta più a grandi mutamenti. Se il fanciullo ha introiettato una grande dose di severità, per quanto si possa sforzare, non sarà mai una persona spensierata ed irresponsabile. Rimane, nondimeno, una differenza fondamentale tra la personalità ed il carattere, tra il daimon e l'uomo, ed è la stessa tra la ROM e la RAM del computer: la prima, una volta programmata in fabbrica (educazione infantile ricevuta), assume dei contenuti immodificabili; mentre la seconda, pur condizionata nel suo funzionamento dalla prima, che regola l'autodiagnosi e l'avvio del sistema, è responsiva agli input (regole sociali) provenienti dalla tastiera. In altre parole, la componente sociale è presente in entrambe le facce della monade (o moneta, o medaglia, o lastra di vetro...), però nel daimon è limitata alla fase iniziale della vita, all'acquisizione dei paradigmi esistenziali di base, appresi e non più manipolati, mentre nell'uomo è abbondante fino alla morte. In quest'ottica, il tradizionale concetto di stabilizzazione può essere restituito alla sua genuina portata. La stabilizzazione non indica la soglia oltre la quale il carattere diviene immutabile (ciò non accade mai); bensì indica la soglia oltre la quale la personalità diventa intangibile, cioè non più soggetta alle manipolazioni educative. Nell'esatto istante in cui il soggetto diviene capace di opporre una forte resistenza all'educazione impartita, mediante ribellione, indifferenza, critica e simili procedimenti, allora la personalità si è consolidata, ha raggiunto il suo assetto, ha assunto una fisionomia definita. La personalità del bambino è malleabile, assai più tosto è l'adolescente, il cui modo di essere è ormai tenace e riottoso ad ulteriori tentativi dello scultore (genitori) di apportarvi modifiche. Pertanto, in definitiva, la storica associazione della stabilizzazione alla pubertà, una volta chiarito che essa si riferisce non al carattere, ma alla personalità, non appare più una farneticazione pullmaniana. Non pare esservi dubbio che la psiche di un adolescente non è più ricettiva come quella di un fanciullo: quest'ultimo è soggetto ai genitori, non solo perché deve obbedire, ma anche e soprattutto perché cerca di imitarli, di replicare i modelli e gli imperativi ricevuti, cioè tende a prendere per vero e buono ciò che gli viene detto; mentre l'adolescente (e poi anche l'adulto, s'intende), se non sempre è in grado di agire come vorrebbe (il carattere risente sempre della socialità), è quantomeno capace di pensare da sé e di dissentire sinceramente, magari anche solo intimamente, dai valori e paradigmi altrui (la personalità non risente più della socialità). La comparsa del primo germoglio di senso critico segna la sopravvenuta immunità della personalità alle manipolazioni: cos'è, infatti, il dissenso, se non la presa d'atto che certe idee non ti appartengono? Con la maturazione della coscienza critica, il daimon si stabilizza e la questione si sposta sulla necessità di armonizzare il daimon ed il mondo esterno nel carattere umano.
A voi i commenti.
Da tempo rifletto sul metodo più efficace per tramutare i concetti del Daimonismo in altri di eguale tenore e maggiore familiarità, per tradurre la forma senza alterare la sostanza. Credo di essere giunto a conclusioni soddisfacenti, sospinto in questo dal brio per le vacanze che mi scorre nelle vene e mi agevola nelle speculazioni.
Uomo e daimon, unicità e duplicità, uguali e diversi, anima o caronte tra i livelli dell'anima... A questo linguaggio circonvoluto dobbiamo attribuire la diffidenza degli ascoltatori: una persona non particolarmente versata nell'autocritica e nella psicologia, che ragiona per luoghi comuni, ha il piatto d'argento già pronto per fraintendere. Questa minorazione, questa zavorra, questo intralcio comunicativo deve finire: non abbiamo speranze di suscitare l'interesse con terminologie da semi-iniziati di una setta esoterica.
Cos'è il daimon? Il daimon è la personalità, l'interiorità, l'essere. Metaforicamente, il magma.
Cos'è l'uomo? L'uomo è il carattere, l'esteriorità, l'apparire. Metaforicamente, la lava.
Queste le premesse sistematiche. Il difficile sta nel riempire di senso e di effettività queste categorie, intrecciate e reciprocamente dipendenti oltre ogni dire. Partiamo dalla metafora. Il magma ha determinate proprietà fisiche e chimiche, che lo connotano durante tutto il viaggio dal nucleo terrestre ai più alti camini vulcanici. Durante l'eruzione, tuttavia, qualcosa si trasforma: il magma entra in contatto con l'atmosfera ed entrambe ne riescono sovvertite. Il primo si raffredda, muta la composizione chimica per effetto di complesse reazioni, aumenta la vischiosità, fino a formare quegli agglomerati bucherellati solidi che tutti conosciamo. L'aria, dal canto suo, accoglie nuovi gas, si surriscalda di migliaia di gradi e diventa più leggera. In breve, tra le due componenti, inizialmente separate, al momento del contatto si avvia un procedimento di vicendevole adattamento, finché si consegue un nuovo equilibrio termico, fisico e chimico. L'interazione del daimon con la socialità, con la realtà fattuale, nonché con altri esseri senzienti, produce conseguenze assimilabili alle precedenti. La socializzazione non è altro che una migrazione dei numerosi Io verso una piattaforma di Noi soddisfacente per la totalità o per la maggior parte degli Io che concorrono all'operazione. Nel vivere associato si rinuncia a taluna delle libertà domestiche in vista di una creanza collettiva che consenta la comunicazione ed il rispetto, almeno sui livelli essenziali per la pacifica convivenza. Il bambino è tutto proiettato dentro di sé: durante l'infanzia prevale il daimon, la purezza magmatica, e gli influssi dell'atmosfera su di esso sono sporadici e deboli. Il bambino è egoista, esige che i suoi problemi e le sue necessità valgano universalmente per tutti gli individui che si relazionano con lui. In verità, non c'è una relazione bilaterale, ma una pretesa unilaterale simboleggiata dalla forza attrattiva di un pianeta che mantiene il satellite in orbita. Col progredire del calendario, il satellite acquista massa, a scapito del pianeta, e gli equilibri gravitazionali vengono compromessi. L'infante apprende che i genitori non sono i suoi schiavi, impara il senso del no, è costretto a fare i conti con desideri insoddisfatti e piagnistei insufficienti a far trionfare i suoi capricci. Comincia, insomma, ad avvertire il peso, la costrizione, le briglie di una socialità condizionante, che vincola l'Io entro uno schema di possibilità che non dipende più dalla sola volontà dell'Io: altri attori appaiono sul palco ed il protagonista vede ridimensionato il proprio spazio scenico. Il bambino si avvicina all'età scolare. In questa fase, egli percepisce un limite alla sua sfera d'azione, un limite non materiale, non dettato dalla finitudine delle forze fisiche, bensì morale, comportamentale, sociale, caratteriale. Nel soggetto viziato questo processo è più lento del consueto ed il rapporto personalità/carattere è eccessivamente sbilanciato in favore della prima.
Si avvicina l'adolescenza e, con essa, fanno capolino gli ardori ormonali. Tornando alla nostra amata vulcanologia, si assiste ad una nuova, potente risalita di magma dalle viscere del pianeta, una nuova ventata di Io che lotta per imporsi, per conseguire il riconoscimento della propria dignità e libertà. Così, le paternali genitoriali diventano sempre più fastidiose, la voglia di spezzare la coltre di regole e vincoli si manifesta in una deflagrante ondata trasgressiva. La personalità cerca la rivincita su un carattere troppo stretto. Il ruolo del bambino è di minorità e soggezione, di obbedienza e remissività, ma le rinnovate energie psicofisiche, connesse con la pubertà, rendono inaccettabili le catene ed auspicabili opportunità decisionali del tutto inedite. L'adolescente si ribella, la sua personalità tenta nuovamente di prendere il sopravvento sul carattere, aspira a riforgiare il mondo a sua immagine e somiglianza: la contestazione e gli impeti rivoluzionari ne sono il frutto più eclatante. Al contempo, l'adolescente non è un neonato: l'esperienza gli ha ormai insegnato che la sua volontà si scontra con quella di altri enti pensanti. Da ciò la crisi, dunque la consapevolezza. Da un lato, la carica sessuale sprona all'affermazione di sé, talvolta con mezzi violenti; dall'altro, la quotidianità mostra implacabili testimonianze di come la realtà sia destinata a trionfare sul soggettivismo, di come, volente o nolente, l'individuo subisca i contrappesi dello Stato, della società, della famiglia. Le manie di onnipotenza nascono con le ali tarpate, perché ad un bisogno di librarsi nel cielo si associa l'amara contezza di una zavorra ineliminabile ai piedi. Ogni adolescente risolve questa dicotomia a modo proprio, e non v'è luogo a parlarne in questa sede.
Infine, la fase adulta. In essa, il carattere è nettamente preponderante sulla personalità. Le contingenze impediscono che sia altrimenti. Tutte le chiacchiere e le recriminazioni e le virulente proteste non tolgono il fatto che senza denaro non si campa, senza un lavoro si viene reietti dalla società, senza il rispetto delle leggi si subisce una pena. L'adulto sa che deve indossare i panni di un operaio chiamato a lavorare ad una catena di montaggio, la cui direzione e le cui finalità sono precluse al suo esame ed alla sua volontà. Funziona così, punto. Durante questo lungo periodo esistenziale, l'atmosfera del mondo esterno ha fatto largamente rapprendere il magma originario, trasfigurandolo totalmente. L'energia dirompente del flusso iniziale è scemata, la fluidità ha lasciato il posto ad una consistenza semisolida: non c'è speranza, per la lava, di avanzare di molti metri ancora. La società trionfa sul singolo. Quando, a conclusione del ciclo vitale classico, si approssima la morte, allora la vittoria diventa una sopraffazione radicale: il mio Io è condannato ad estinguersi per via di leggi naturali di miliardi di anni che del mio dolore, della mia disperazione, del mio bruciante desiderio di continuare a persistere se ne infischiano allegramente. Anzi, peggio. Non c'è nessuna volontà malvagia, nessun nemico contro cui combattere, solo un destino neutrale, imparziale, intransigente ed inesorabile.
Non è difficile cogliere il fenomeno di una progressiva emarginazione del daimon, anzi di una sua silenziosa e subdola trasformazione nell'uomo. Da soggetto pensante tutto proiettato in sé a pedina sociale incatenata da leggi e consuetudini che trascendono il singolo. Per carità, non intendo demonizzare la vita associata o soppiantarla con un'improbabile anarchia. La questione cruciale è vivere in gruppo senza smarrire se stessi. Annullarsi in favore del conformismo significa condannarsi ad una vita triste, grigia ed urticante. Prevaricare il prossimo per i propri capricci è criminale ed infantile. Come uscire dalle ganasce? Il daemian riconosce la necessità di separare i due ambiti (interiorità ed esteriorità) ed alza barriere a protezione dell'inviolabilità della sua personalità, del suo lato daimon: in pratica, si ritaglia uno spazio privatissimo, interdetto a tutti fuorché all'amato/a, dove può coltivare il proprio orto esistenziale senza l'inquinamento della vita cittadina. Ciò accade mediante una presa di consapevolezza ed un atto volitivo: presa di consapevolezza dell'unicità di ogni autocoscienza, dell'irripetibilità di un nucleo duro di identità personale sacro ed intangibile, e precisa volontà di intraprendere un percorso ricolmo di perigli e difficoltà, il percorso dell'eterna armonizzazione tra l'Io e l'Alterità o, per dirla alla Hegel, il percorso di Sintesi tra la Tesi e l'Antitesi. La scelta è ardua, perché prendere una lucida cognizione di ciò che ribolle dentro di sé, unita ad un'altrettanto lucida cognizione che solo una minima parte di quel magma potrà realizzarsi senza compromettersi come lava al vento, significa accettare le sferzate della frustrazione, della delusione, del senso di sconfitta dinanzi alla miriade di ambizioni incompiute. L'ignoranza è, per molti, una via preferibile. Eppure, la realtà non muta a causa del nostro sguardo distratto: possiamo fingere di essere perfettamente integrati e felici nella società, ma il magma dei nostri bisogni resterà latente e le frustrazioni non mancheranno, con l'aggravante di manifestarsi in forme inconsce, perciò più insidiose e meno controllabili, meno razionalizzabili, meno gestibili. Non vedere i problemi non giova a risolverli. Il daemian accetta i pesi ed i sacrifici che la strada più ripida comporta, ma ha la grandiosa opportunità di giungere a più elevate vette. Il daemian, sfruttando i vari metodi introspettivi, si avvede del daimon, ossia dei suoi più intimi e complessi stimoli esistenziali, e si prodiga per orientare il proprio carattere, la propria apparenza sociale, il proprio modo di porsi e di manifestarsi, nel senso più favorevole alla realizzazione esistenziale, e con ciò riduce i conflitti psichici e crea le premesse per una più solida e duratura felicità.
Giunti alla conclusione di queste semplici considerazioni, vi sottopongo una nuova nozione e due equazioni semantiche.
Monade = uomo+daimon
Per anni non abbiamo coniato una parola apposita per designare l'unità di carattere e personalità, di ciò che si è e di come si appare, dell'uomo e del daimon. Ora ne abbiamo l'opportunità. Dal greco, "monade" vuol dire "unità indivisibile" e mai espressione fu più azzeccata. L'essere autocosciente è uno ed uno solo, non c'è spazio per facili ironie sulla schizofrenia, sugli sdoppiamenti di personalità, sulle alienazioni mentali. Semplicemente, quasi banalmente, la monade è una moneta a due facce, una lastra di vetro: da un lato c'è la propulsione del daimon, della personalità, che vuole emergere, dunque una fornace di magma; dall'altro un refolo gelido, che condensa questi entusiasmi in forme stereotipate e predefinite di comportamento. Risulta evidente che lo sbalzo di temperatura tra l'interno e l'esterno può frantumare il vetro, ma la saggezza di un daemian consisterà nel trovare il modo, unico per ciascuna monade, di bilanciare caldo e freddo, genio e regola, daimon e realtà esterna. La monade, che nel bambino coincide interamente col daimon, durante la crescita subisce l'impatto di forze esterne, che la foggiano, facendo emergere la dimensione dell'uomo, del singolo in società, dell'Io-cogli-Altri, dell'Io-nel-Noi. Arricchita di questa nuova faccia, la monade vive nel perenne barcamenarsi tra le alternative della personalizzazione del carattere e della caratterizzazione della personalità: ciascuno, insomma, sceglierà se agevolare il lato personale o quello sociale, se essere refrattario o accondiscendente, se imporsi o tollerare, il tutto senza mai far estinguere una componente in favore dell'altra, senza mai cancellare il daimon per l'uomo o l'uomo per il daimon. Com'è facilmente intuibile, l'uomo senza daimon è un mero ingranaggio, un oggetto schiavo di dinamiche che lo superano, mentre il daimon senza uomo è un infante o un criminale, nell'uno come nell'altro caso incapace di relazionarsi col mondo. Resta perciò confermata la gravità inaudita dell'intercisione, della rottura di questa unità, tanto nel senso di una massificazione (e dunque annullamento) di sé, quanto nel senso di una radicale inettitudine alla vita associata. Chi si intercide, chi consente una definitiva sopraffazione di un lato sull'altro, si suicida, nel primo caso, come individuo e, nel secondo caso, come cittadino.
Daimon=Personalità e Uomo=Carattere sono già stati ampiamente illustrati e non richiedono ulteriori approfondimenti.
Un ultimo aspetto richiede attenzione. Nelle riflessioni precedenti è rimasta impregiudicata la questione dell'interferenza del mondo esterno sulla personalità, la quale non costituisce affatto un bagaglio identitario innato, bensì l'esito di complesse vicende riconducibili alle esperienze sensoriali ed alle elaborazioni razionali ed emotive del materiale sensibile acquisito. Insomma, il daimon non è puro spirito divino che lotta contro la società. Anche il daimon ha una matrice latamente sociale e specialmente familiare: gli insegnamenti genitoriali dei primi anni di vita influenzano notevolmente la formazione della personalità. Questa, tuttavia, una volta consolidatasi, non si presta più a grandi mutamenti. Se il fanciullo ha introiettato una grande dose di severità, per quanto si possa sforzare, non sarà mai una persona spensierata ed irresponsabile. Rimane, nondimeno, una differenza fondamentale tra la personalità ed il carattere, tra il daimon e l'uomo, ed è la stessa tra la ROM e la RAM del computer: la prima, una volta programmata in fabbrica (educazione infantile ricevuta), assume dei contenuti immodificabili; mentre la seconda, pur condizionata nel suo funzionamento dalla prima, che regola l'autodiagnosi e l'avvio del sistema, è responsiva agli input (regole sociali) provenienti dalla tastiera. In altre parole, la componente sociale è presente in entrambe le facce della monade (o moneta, o medaglia, o lastra di vetro...), però nel daimon è limitata alla fase iniziale della vita, all'acquisizione dei paradigmi esistenziali di base, appresi e non più manipolati, mentre nell'uomo è abbondante fino alla morte. In quest'ottica, il tradizionale concetto di stabilizzazione può essere restituito alla sua genuina portata. La stabilizzazione non indica la soglia oltre la quale il carattere diviene immutabile (ciò non accade mai); bensì indica la soglia oltre la quale la personalità diventa intangibile, cioè non più soggetta alle manipolazioni educative. Nell'esatto istante in cui il soggetto diviene capace di opporre una forte resistenza all'educazione impartita, mediante ribellione, indifferenza, critica e simili procedimenti, allora la personalità si è consolidata, ha raggiunto il suo assetto, ha assunto una fisionomia definita. La personalità del bambino è malleabile, assai più tosto è l'adolescente, il cui modo di essere è ormai tenace e riottoso ad ulteriori tentativi dello scultore (genitori) di apportarvi modifiche. Pertanto, in definitiva, la storica associazione della stabilizzazione alla pubertà, una volta chiarito che essa si riferisce non al carattere, ma alla personalità, non appare più una farneticazione pullmaniana. Non pare esservi dubbio che la psiche di un adolescente non è più ricettiva come quella di un fanciullo: quest'ultimo è soggetto ai genitori, non solo perché deve obbedire, ma anche e soprattutto perché cerca di imitarli, di replicare i modelli e gli imperativi ricevuti, cioè tende a prendere per vero e buono ciò che gli viene detto; mentre l'adolescente (e poi anche l'adulto, s'intende), se non sempre è in grado di agire come vorrebbe (il carattere risente sempre della socialità), è quantomeno capace di pensare da sé e di dissentire sinceramente, magari anche solo intimamente, dai valori e paradigmi altrui (la personalità non risente più della socialità). La comparsa del primo germoglio di senso critico segna la sopravvenuta immunità della personalità alle manipolazioni: cos'è, infatti, il dissenso, se non la presa d'atto che certe idee non ti appartengono? Con la maturazione della coscienza critica, il daimon si stabilizza e la questione si sposta sulla necessità di armonizzare il daimon ed il mondo esterno nel carattere umano.
A voi i commenti.