Il daimonismo ruota attorno a un punto che si è rivelato spesso importante, se non di fondamentale per molti daemian al fine di comunicare correttamente e qualitativamente con il proprio daimon: la forma. Da sempre ci siamo focalizzati sul fatto che essa dovesse essere necessariamente animale, a dimostrarlo l'ampia presenza di analisi di specie di qualsiasi genere o famiglia, dai mammiferi ai pesci, agli insetti e agli uccelli. Nessuno andava escluso, ognuno di loro poteva essere un buon messaggero per il nostro io cosciente.
Nonostante oggi, alla luce di anni di sviluppo della filosofia, la forma non venga spesso conosciuta come qualcosa di tanto necessaria e vengano accettati anche aspetti "alternativi" (come la forma umana, di scintilla o stella, o di pianta, se questa può essere utile o quantomeno piacevole per il daemian al fine introspettivo), è innegabile che la forma animale sia oggi la più usata a livello mondiale.
Per quanto molti abbiano trovato questo aspetto curioso e abbiano tentato di dare una spiegazione, oggi con il supporto della psicologia vorrei potere dare una risposta più esaustiva alla domanda: "perché proprio un animale?"
Inizialmente si rispondeva in maniera semplicistica: è necessariamente un animale, in quanto se fosse un essere umano sarebbe impossibile da analizzare o da ricondurre ai nostri aspetti caratteriali, e una pianta non è sufficientemente espressiva per potere rivestire un ruolo tanto importante.
Trovo che questa è una risposta sì semplice, quasi banale, ma allo stesso tempo nemmeno troppo errata: un essere umano è a tutti gli effetti troppo difficile da "decifrare". Siamo animali, è vero, ma è altrettanto vero che la complessa psiche umana non può certamente fungere da mezzo per potere meglio comprendere noi stessi: al contrario, una forma umana potrebbe complicarci ancora di più la vita, in quanto dovremmo guardare magari al vestiario scelto dal daimon e dal suo modo di porsi. In sostanza, l'essere umano ha il grande limite di essere poco comprensibile nella sua comunicazione non verbale. Si affida principalmente alle parole. Gli umani parlano, parlano, parlano, ma quando effettivamente si dice qualcosa di vero? La parola è il dono e il cappio della nostra specie, in quanto spesso è capace di ingannare (anche non volontariamente): si pensi ai fraintendimenti, a come l'uso di un termine inappropriato può causare litigi o ferire qualcuno. Si pensi ancora al doppio significato che spesso il verbo porta con sè. Sotto questa ottica, la forma umana potrebbe essere un'arma a doppio taglio per il nostro daimon. Inoltre, l'essere umano è tendenzialmente associato a qualcosa di razionale. Pensando a un uomo non colleghiamo immediatamente l'inconscio, il nascosto, il segreto che viene a galla, la verità: è più semplice collegare ad esso l'intelligenza, l'astuzia, la capacità di sfruttare la razionalità per piegare la natura.
In pratica, non funziona in quanto è troppo simile a noi e al contempo troppo alieno. Non è certamente vietato visualizzare o proiettare il proprio daimon sotto queste fattezze, al contrario: è idea comune che se questa riesce a dare beneficio al daemian va assolutamente incoraggiata. Ciò che sto cercando di fare oggi è di darvi una sorta di spiegazione, un perché.
Lo stesso discorso vale per la forma vegetale: i fiori e gli alberi sono rivestiti di grandi significati inconsci e simbolici, ma certamente non ci verrebbe mai in mente di parlare con una pianta - non, almeno, a primo impulso. Questo perché essa è sì ricettiva (tant'è che molti sostengono che i suoni o le parole aiutino le suddette a crescere più sane) ma non comunicativa. La pianta parla coi colori, con le radici, ma di fatto è impossibile che riesca a comunicare o a seguire il dinamismo di una mente umana. Le piante sono tuttavia presenti in molti headspace dei daemian: spesso in questa sorta di meditazione si rilassano in grandi prati verdi, o sotto degli alberi. Questo perché l'uomo, specie in questo periodo d'industrializzazione e tecnologia estrema, ricerca attivamente il contatto con la natura, che ormai si è andato quasi a perdere: si pensi alle iniziative delle grandi città, al piacere che si prova a stare in campagna dopo una frenetica giornata di lavoro, al boom delle cosiddette fattorie didattiche, in quanto oggi i bambini di città spesso non hanno mai visto i cosiddetti animali da cortile. Ci stiamo in un certo senso avvicinando all'estraniamento della natura, e questo per la nostra mente non è sano: si ricerca sempre un ritorno al naturale, un contatto che in noi è presente ma che ultimamente si sta assottigliando.
Ci avviciniamo dunque all'animale. Innanzitutto è bene ricordare che spesso gli animali compaiono nei nostri sogni come messaggeri. In più culture essi sono visti come mediatori di ciò che sta nel mondo onirico (che possiamo anche tradurre con "inconscio"). Si pensi all'idea degli indiani d'america che li vedeva addirittura come animali di potere, o di medicina, addirittura capaci di guarire da alcuni mali dell'anima. L'alleanza uomo-animale è antica, ed è stata suggellata principalmente su fini utilitaristici. L'uomo si stanzia, il lupo collabora con esso per l'uccisione del bestiame, gli erbivori vengono allevati per potersi procurare latte e carne in maniera comoda, oltre che per potere avere forza lavoro per arare i campi. Tuttavia una cosa spesso sfugge: il legame che li legava non era così fragile e freddo. Era uno scambio, seppur primitivo.
Ciò che noi oggi riceviamo dal contatto animale è appunto uno scambio fatto di rispetto, comunicazione, calore.
Siamo dunque giunti alla conclusione che l'animale è nei nostri sogni messaggero di simboli inconsci, e che tra uomo e selvatico si è mantenuta una sorta di alleanza da cui tutti giovavano.
Ora, addentriamoci nella psicologia e parliamo di transfert. L'animale si presta molto bene per le proiezioni delle persone: è solitamente empatico, è diverso da noi, eppure esattamente come noi ha delle emozioni, è vivo e reattivo. Questo è particolarmente utile nelle sedute di pet therapy, in quanto il malato o il soggetto in situazione di disagio o il bambino a cui viene sottoposta l'attività è in grado di riversare sull'animale i suoi sentimenti, comunicandoli. Per essere più immediata, vi faccio un esempio: se il bambino è triste potrebbe, parlando o giocando con l'animale, dire "sei triste e ti senti solo, non è vero?". Ovviamente l'animale non prova queste emozioni, ma il bambino le proietta e le vede nella creatura che ha di fronte. Perché questo accade e succede con molta più difficoltà invece con un essere umano? Perché l'animale abbatte le barriere. Parlare con un animale è molto più semplice che farlo con un uomo, perché esso non giudica, non ha pregiudizi, non gli importa se sei bello, brutto, ricco o povero, se hai una disabilità o un problema interiore. Non lo fa, semplicemente ti accetta e l'accettazione ha grandi poteri, tra i quali la diminuzione dell'ansia e, dopo essersi sfogati, un senso di benessere.
Questo discorso può funzionare molto bene anche nel campo forma. Perché l'animale, dunque? Perché parlare con qualcosa di interiore che ha l'aspetto di un animale mi fa sentire meno giudicato, mi sento più libero in quanto la relazione è paritaria (l'animale si pone in maniera spontanea: è più facile parlare con noi stessi se l'interlocutore che immaginiamo si siede vicino a noi in maniera paritaria, piuttosto che vederlo come essere umano che ci osserva, ci giudica e si pone come "maestro"), comunica in maniera chiara e sfrutta la comunicazione non verbale (cosa che può avvenire nel daimonismo con l'intuizione, le spinte interiori o le sensazioni, o semplicemente la proiezione dell'animale).
Altro punto che si rivela utile è che l'animale è in grado di disegnare un confine molto chiaro con il nostro Io. Rapportandoci con l'altro in una relazione paritaria, dove non esiste timidezza (a meno che non ci siano fobie, l'animale non genera mai timidezza nell'altro), e c'è una chiara biodiversità: non parlo con qualcosa che è come me nella forma, ma con qualcosa di esteticamente molto differente: ci aiuta nel comprendere una netta distinzione tra daimon e daemian, tra ciò che è il mio io cosciente e ciò che è il mio subconscio.
Può tornare utile ricordare che non tutte le specie animali sono adatte: potrebbe non apparire così, ma di fatto i numeri lo confermano. Pochissimi sono coloro che hanno daimon insetti (a meno che non rivestano questo di un significato personale) o pesci. Questo per l'estraneità. Gli insetti sono molto diversi da noi e hanno un sistema primitivo, stereotipato. Si pensi alle formiche che agiscono secondo i comandi della regina che regola i feromoni. Si pensi alle libellule, alle api: macchine perfette che seguono l'istinto in maniera perfetta, che non condividono con noi l'empatia. Per i pesci, salvo eccezioni, è lo stesso discorso: se anche con l'analisi riusciamo a tirare fuori un modello di personalità anche condivisibile, risulta di difficile proiezione. Lo stesso può valere, anche se in misura minore, per i rettili.
Gli animali che di certo popolano il mondo daimonista sono i mammiferi e gli uccelli, questo per la maggiore affinità che abbiamo con essi. Sono dotati di empatia, comunicano in maniera attiva tra di loro (anche le specie più solitarie rilasciano per esempio segnali chimici), e in tutto e per tutto ci assomigliano un po' di più rispetto agli altri citati in precedenza.
Allo stesso modo vi è una preferenza per la popolazione canina, felina e ungulata. Questo per un motivo assai semplice. I canidi (tranne alcuni più solitari) condividono con l'uomo il bisogno di formare famiglie, sono predatori (spesso incontrastati), cooperano con i membri del gruppo e attuano strategie per raggiungere la preda, oltre che ad essere piuttosto flessibili. Lo stesso vale anche se in differente misura per i felini, che sono più indipendenti, ma ugualmente capaci di attuare nuove strategie per raggiungere i loro scopi. Gli ungulati invece sono animali da gruppo che preferiscono la fuga sparpagliata di fronte a un pericolo, la cui forza risiede nel branco. In generale le specie che sono state addomesticate diventano più semplici da comprendere e da "fare nostre", anche nelle loro forme primitive.
Nella speranza che questo piccolo estratto possa avervi aiutato :3