Non concordo.
La percezione di un'entità non è
condicio sine qua non della sua esistenza: c'è tanta materia oscura nell'universo, eppure studiarla o anche solo rilevarla è arduo assai. Direi pertanto di trattare separatamente le due questioni dell'
esistenza e della
consapevolezza dell'esistenza.
Quanto alla prima, urge una premessa preliminare. Vogliamo analizzarla alla luce di una fede religiosa oppure in chiave strettamente scientifica? Nel primo caso, l'anima viene infusa da Dio quando Egli stabilisce, secondo criteri e logiche che non credo ci siano accessibili. Se, invece, escludiamo il soggetto metaumano e tentiamo di ricondurre la formazione dell'anima ad un processo squisitamente naturale, le conclusioni sono diverse. I genitori hanno l'anima ed hanno il corpo: al momento della fecondazione, quando si forma lo zigote, danno al futuro figlio il mattone portante che, nell'arco della gravidanza, si evolverà in quel corpicino che a tutti ispira tenerezza. C'è da chiedersi, allora, se in tale processo non sia coinvolta in qualche modo anche la trasmissione dell'anima. Dopo la singamia, lo zigote si impianta nell'utero e conduce vita autonoma: ovviamente viene irrorato costantemente dal corpo materno, ma il suo sviluppo avviene indipendentemente dall'azione della madre, perché l'uovo fecondato ha già in sé tutti gli elementi del futuro neonato e non gli occorrono apporti esterni. Se ciò vale per il corpo - che prende forma dallo zigote tramite le fasi di morula, blastula e così via -, perché mai non dovrebbe valere per l'anima? Come si spiegherebbe l'infusione dell'anima in un momento successivo, ad esempio al terzo o sesto mese? Perché mai proprio in quel momento, mentre il contributo materno alla creazione del corpo si è già esaurito da tempo, dovrebbe intervenire un contributo spirituale? Fra l'altro, ammettendosi la comparsa dell'anima durante la gravidanza e non al principio di questa, si dovrebbe concludere che essa sia prodotto esclusivo della madre, visto che l'unica "partecipazione" paterna si ha all'atto della fecondazione. Perciò, il corpo nascerebbe da padre e madre, l'anima solo dalla madre?
Come dice Montalbano, non mi faccio persuaso.
Riguardo al secondo punto, un peso assai rilevante è da attribuirsi alla cultura di appartenenza: se il bambino viene allevato in un villaggio orientale, intriso di meditazione e cultura dello spirito, è assai probabile che venga in contatto col proprio daimon, comunque denominato, più precocemente rispetto ad un bambino occidentale, soverchiato dal materialismo, che in quest'area geografica è preponderante.
Se proprio intendete battere la strada delle sottigliezze, si può distinguere fra
età minima oggettiva per la percezione del daimon (eguale ovunque ed in ogni epoca) ed
età minima in funzione di parametri culturali e sociali, la quale può essere di gran lunga più alta della precedente. Siccome, però, non esiste una formula segreta con la quale depurare il fenomeno dalla stratificazione contingente e risalire così ad un'idea di percezione del daimon disincarnata dal tempo, dallo spazio, dalla cultura e dalla famiglia di origine del bambino, temo che la mia dissertazione si fermi qui.
Si sentiva la mancanza di qualche perla filosofica, eh? 8)