AREA FILOSOFICA: problemi esistenziali e quesiti irrisolti.

Meditiamo sugli aspetti filosofici e formuliamo ipotesi ragionevoli sul Daimonismo!
Claudio-Olyandra
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AREA FILOSOFICA: problemi esistenziali e quesiti irrisolti.

Messaggio da Claudio-Olyandra » gio 27/mar/2008 02:17:00

Questo topic è concepito per raccogliere le più disparate riflessioni sui Daimon e su quanto di ancora ignoto circondi il loro essere.

Mettete a frutto tutta la vostra esperienza empirica e il vostro raziocinio speculativo, operando deduzioni, induzioni, parallelismi ed ogni genere di passaggi logici-meditativi atti a dischiudere, in tutto od in parte, i segreti dei nostri eterni compagni.

Parte del materiale quivi contenuto potrà essere eventualmente rielaborato per ragioni di compilazione enciclopedica (Wikipedia od altra appropriata).
Daimon uniuscuiusque humanitatis caput et fundamentum est semperque esto!

Claudio-Olyandra
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Messaggio da Claudio-Olyandra » gio 27/mar/2008 02:20:00

FORMA DEL DAIMON.

Il Daimon è la nostra anima. Cos'è l'anima? In latino significa "alito di vento", poi passato ad indicare il "soffio vitale", con le sfumature che oggi ben conosciamo. Ma per anima s'intende anche, nel mondo inanimato, l'essenza di qualcosa, i pilastri inamovibili che ne caratterizzano in modo permanente la struttura e sui quali si aggiungono gli elementi accessori e transeunti, irrilevanti per la determinazione del genus e della species della cosa in questione. L'anima è il sostrato, la base, il fulcro, il nucleo dell'essere vivente o non vivente di appartenenza. Fissati questi concetti base, vediamo di ricostruire come la nozione di anima, associata al Daimon, si ricolleghi alla sua forma e come questa sia connessa col carattere dell'umano. Occorre preventivamente scorgere quali tratti della personalità umana possono considerarsi essenziali e perciò marcatamente presenti nel Daimon, che dà di essi compiuta espressione e manifestazione. In cima a questa lista collochiamo il grande istinto di sopravvivenza, quel motore inarrestabile che spinge per la conservazione del più esile anelito di vita anche quando la morte è prossima o pressoché ineluttabile. I viventi sono fatti per vivere, perché nella vita si concretizza la loro azione e piena esistenza, laddove la morte rappresenta un'incognita insondabile e pertanto temibile. Perché temibile? Per il semplice fatto che l'uomo è limitato e non può mantenere integra la propria personalità se non aggrappandosi ad assiomi certi, a sicurezze esistenziali, saldamente infisse durante il tragitto della vita e del tutto assenti invece nella fase compresa fra il decesso e ciò che, eventualmente, segue ad esso.

Un altro tratto in noi dominante è la razionalità, la capacità di unire fatti autonomi per ravvisare fra di loro un'impalcatura causale che consenta di ricondurre l'uno all'altro. La nostra abilità pensante ci permette di valicare i confini del semplice apprendimento empirico, quello per il quale un animale, fatta l'esperienza del fuoco e rimastone ferito, memorizza quell'evento come pericoloso per la sua vita e tende a non più ripeterlo. A noi è concesso sbaragliare queste colonne d'Ercole mediante previsioni, congetture, estrapolazioni. Avendo noi uomini l'istinto di sopravvivenza e la ragione, pure il Daimon ne è dotato in abbondanza, anzi, ne costituisce il simbolo e la pura rappresentazione, poiché mentre questi due grandi binari, nel carattere umano, sono soverchiati dalla superficialità spesso derivante da un approccio banale con la realtà, nel Daimon rifulgono perennemente, essendo quelli la nostra essenza ed il Daimon la manifestazione incessante di questa. In altre parole, noi accumuliamo tanti dati sensibili sopra le Due Vie (istinto e ragione), perdendole talvolta di vista, ma il Daimon le incarna sempre e non può perciò smarrirle in nessun caso.

Ci si chiede, allora, come mai da pilastri comuni a tutti gli uomini derivino tante forme daimoniane: evidentemente sono presenti altri parametri fondamentali che caratterizzano noi stessi e in loro sono riflessi. Quali? Possiamo sinteticamente chiamarli "patrimonio genetico" e "bagaglio personale". Il patrimonio genetico è un insieme di dati che codificano per tutti i caratteri fisici del corpo, ma non è da escludersi che essi possano avere un'influenza sul lato emozionale e più propriamente distaccato dalla materia e dai tessuti. Al bagaglio, invece, appartengono il vissuto concreto di ogni individuo, le sue ideologie e convinzioni, la componente emotiva e sentimentale ed il lato relazionale della sua personalità, tutti elementi che non ci sono forniti dalla natura, ma che si producono progressivamente nel corso della crescita per imprimersi poi nell'essenza, distinguendo ogni uomo da tutti gli altri. Detto bagaglio è un criterio aggiunto di differenziazione - capace di porre agli antipodi gemelli omozigoti che la natura vorrebbe uguali ed indistinguibili -, pertanto contribuisce alla nostra unicità al pari degli altri parametri, perciò non può non interferire con la forma stabile che il Daimon assumerà contestualmente alla fissazione, alla cementificazione del nostro Io, pronto sì ad adattarsi al nuovo, ma nei limiti dei paletti ormai infissi nel suolo. Un uomo timido fino alla maturità non può divenire un cuor di leone (se non per effetto di terremoti psichici così potenti da sradicare i paletti piantati nel corso dell'adolescenza): tutt'al più potrà sfoderare un po' di grinta al momento del bisogno, ma non sarà mai un duro, un soggetto volitivo, capace di imporsi con tenacia nonostante tutte le barriere.

Il Daimon raffigura questa nostra identità con una veridicità sconvolgente, perché valica ogni maschera che noi indossiamo per ragioni morali o di convenienza, ci denuda di qualsiasi costume, finzione, messinscena, apparenza illusoria, svelando quanto di più riposto noi portiamo dentro. Stando a queste premesse, la forma del Daimon dovrebbe rispondere alla coloritura caratteriale di ciascuno, alla sua essenza, vero? NO, è FALSO: QUESTA COSTRUZIONE è INCOERENTE E FRAGILE. Per dimostrare questo assunto, prendiamo le mosse da considerazioni elementari. Il gatto è il simbolo dell'indipendenza, il cane della devozione e della fedeltà, la tartaruga della lentezza, il camaleonte del "trasformismo" e della mutevolezza, la volpe dell'astuzia, l'asino della cocciutaggine. Ma io vi pongo un quesito banale ed al contempo di imprescindibile rilievo: questi animali hanno queste qualità per natura o siamo noi ad attribuire loro questi significati allegorici in funzione della nostra cultura? Indubbiamente la seconda. Noi, infatti, abbiamo una capacità consistente nel poter decorare a nostro piacimento una realtà già data e fondata su meccanismi che non ci appartengono, né sappiamo controllare se non in minima parte. Ma capite tutti che la decorazione, l'apporto culturale non è che un esile filo di paglia oggi vigoroso, domani abbacchiato, il giorno innanzi appassito, quello ancora dopo divelto da una fresca brezza. La cultura è un ospite temporaneo della realtà eterna e non può incidere sulla sua composizione più di quanto un insetto possa avere voce in capitolo sulla vita di una stella. E la cultura non varia radicalmente solo in senso diacronico, ossia confrontando fra loro diverse epoche storiche, ma pure in senso sincronico, giacché in un medesimo istante convivono tradizioni anche antitetiche in diverse aree di questo nostro pianeta.

Gli antichi Egizi veneravano i gatti, i medioevali lo marchiavano nei loro bestiari come simbolo della tentazione (alludendo al diavolo che gioca con l'anima umana come il gatto fa col topo), i moderni lo accolgono in casa come compagno affettuoso. La domanda che mi tocca porvi è la seguente: può una forma animale, dotata di un certo significato a causa di una temperie culturale temporanea, mostrare la vera essenza del Daimon, ossia la realtà più profonda di noi umani? Detto altrimenti, chi oggi è convinto di avere un Daimon gatto, manterrebbe questa convinzione se per magia fosse trasportato nell'anno Mille? No, perché, mutando il quadro di riferimento, i medesimi tratti caratteriali troverebbero rappresentazione in un'altra forma, secondo le allegorie a quel tempo vigenti, secondo i nessi fra qualità astratte e figure concrete all'epoca istituiti. Si arguisce da queste osservazioni che la forma animale sotto la quale percepiamo i nostri Daimon non è che un'apparenza fenomenica attendibile. Cosa vuol dire questa locuzione? Significa che, se è vero che la forma non identifica il nucleo effettivo del Daimon (in quanto connessa con fattori meramente accidentali: cultura, religione, credenze e così via), è altrettanto vero che detta effigie non è illusoria, falsa o ingannevole, dal momento che essa ti mostra il tuo vero carattere, ma in funzione di parametri continuamente cangianti.

Un uomo indipendente vede un Daimon gatto nel XXI secolo, mentre in un altro secolo vedrebbe sì una diversa figura animale ma raffigurante pur sempre l'indipendenza, secondo le regole simboliche valevoli per quel periodo. Perciò la forma schiude ai nostri occhi le intrinseche qualità che ci connotano, ma in modi differenti secondo il contesto di valori e princìpi nei quali di volta in volta si è immersi. Forse un esempio fisico può aiutare. La massa di un oggetto non varia relativamente alla posizione in cui lo si colloca (Terra, Luna, Giove...), mentre il suo peso dipende da grandezze fisiche (accelerazione di gravità) mutevoli da luogo a luogo: questo non significa però che il peso sia illusorio, bensì soltanto che non è una grandezza intrinseca del corpo, costante, statica, permanente. Siccome, misurando il peso e conoscendo l'accelerazione g si può risalire alla massa, che è propria del corpo ovunque lo si metta, allo stesso modo, conoscendo la forma del Daimon e la ventata culturale, si deve poter desumere la vera essenza del Daimon, quel quid presente allo steso modo nell'antica Roma e nella moderna Cina. Purtroppo un enorme scoglio frena la nostra sete gnoseologica. Per peso e massa abbiamo la formula P=mg, ma quale formula mette in correlazione forma, cultura e vera essenza? Se davvero vogliamo accedere ai misteri più reconditi dei nostri compagni per la vita, questa è l'ardua scoperta che dobbiamo ricercare...
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tasso85

Messaggio da tasso85 » gio 27/mar/2008 10:34:00

Io l'ho detto e ripetuto: tra gli utenti di questo forum c'è un genio, e non sono certo io :D

tornando al tema di discussione, non credo esiste una formula che, come chiedi tu, metta in relazione "forma, cultura e vera essenza"... ed è una cosa triste, pensare che potremmo mai non capire appieno i nostri eterni compagni... non ho prove a sostegno di questa mia tesi, è solo una sensazione che mi porto dentro...

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Messaggio da Eladar » gio 27/mar/2008 14:57:00

tasso85 ha scritto:Io l'ho detto e ripetuto: tra gli utenti di questo forum c'è un genio, e non sono certo io :D
concordo pienamente :D

tra l'altro come si fa a non dargli ragione? le forme dei nostri daimon non sono legate così direttamente di come siamo portati a pensare...
ma anche per questo prendiamo la forma come un simbolo e non come corpo. il daimon siamo noi.. e sempre noi etichettiamo i nostri daimon con i vari profili, per istinto o per ragione, per facilitarci la comunicazione.

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Messaggio da Misty & Pfrryy » gio 27/mar/2008 16:40:00

sono d'accordo, infatti per me la visualizzazione a lupo è difficle e preferisco visualizzare una luce, un piccolo sole senza forma che mi è sempre accanto :wink:
SEMPRE...PURTROPPO SI! :(
dai... :D
SCEMA SCHERZAVO :mrgreen:

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Messaggio da Lux » gio 27/mar/2008 16:56:00

Dopo aver osservato per un bel po' le vidende di numerosi daemian americani e non, sono giunto alla conclusione che in realtà il meccanismo naturale che regola la forma del daimon è, se possibile, ancora più complesso, e i fattori che entrano in gioco sono quasi troppi per essere contati. Possiamo però provare a schematizzare.

Il fattore più importante è la "Funzione Descrittiva", che mi permetto di abbreviare in FD d'ora in poi. Essa rappresenta la legge che vuole che la forma del daimon descriva la persona. E' il fattore principale, ma non il più specifico. Tenendo in considerazione solo la FD (cosa peraltro impossibile nella pratica) si può giungere a trovare anche una ventina di forme animali diverse, tutte "candidabili" come forma definitiva. A raffinare e modificare il processo intervengono però gli "elementi di condizionamento" (EC).

Gli EC che hanno maggiore impatto sulla FD possono essere divisi in tre categorie:

-relativi all'interpretazione della forma IF

-relativi al contesto storico-culturale CS

-relativi all'individuo ID


Gli IFEC sono la fonte di maggiori problemi per gli analisti di forme: essi rappresentano sostanzialmente, nell'analisi, i rapporti di quantità e di importanza tra i punti ricavati tramite l'analisi del comportamento reale dell'animale e quelli derivanti dall'analisi del folklore. L'entità degli IFEC varia a seconda del contesto storico, della località geografica, dell'educazione ricevuta e della psicologia dell'individuo. Se una forma si adatta bene ad un individuo in teoria ma i rapporti IFEC propri di quell'individuo la modificano al punto da non renderla valida, allora bisogna passare ad un'altro animale.

I CSEC variano la loro importanza al variare dei rapporti IFEC, e rappresentano le differenze nel folklore che si possono individuare a seconda del contesto. E' ovvio che se i rapporti IFEC sono sbilanciati in favore del folklore, l'analisi di un gatto nell'antico egitto e quella di un gatto nel medioevo saranno radicalmente diverse, mentre lo saranno molto meno se i rapporti IFEC sono sbilanciati in favore delle conoscenze "reali". Attenzione però a non esagerare: a volte, così come gli animali vengono caratterizzati in modi molto diversi a seconda del contesto, a volte analisi di quell'animale basate su diversi contesti culturali potrebbero essere solo due modi di guardare alla stessa persona.

Gli IDEC possono essere lampanti quanto insondabili. Essi rappresentano le caratteristiche proprie dell'individuo che influiscono sulla forma esternamente alla FD e sono spesso i fattori che contribuiscono alla definizione finale della forma. Tra questi i più importanti sono la familiarità o il disprezzo di certi animali. La familiarità con una delle forme "candidate" piuttosto che un'altra rende l'assunzione della prima più probabile della seconda, mentre il disprezzo o il ribrezzo (che non sono l'assenza di predilizione, ma vera e propria repulsione istintiva) per una certa forma renderà la sua assunzione assai improbabile.

Penso di aver solo scalfito la superficie, perchè in gioco entrano una miriade di altri fattori, anche se in teoria nessuno di essi è rilevante quanto quelli che ho sopra esposto.

Claudio-Olyandra
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Messaggio da Claudio-Olyandra » gio 27/mar/2008 21:12:00

Ecco la prova più lampante che io e Lux siamo complementari: lui bada al lato pragmatico, io sono uno speculatore nato; lui cerca di affinare le tecniche per rendere più attendibili le analisi (dimodoché siano scevre dai condizionamenti summenzionati), io ricerco qualcosa che si colloca eternamente al di là della forma...
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Messaggio da Misty & Pfrryy » gio 27/mar/2008 21:49:00

O__O ragazzi mi avete sorpresa ^^ bellissime frasi piene di sentimento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! SENTIMENTO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! zitto Pfrryyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyy!!!! ZITTA TUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!

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Messaggio da Saphiry e Deianira » gio 27/mar/2008 21:51:00

Uh,penso di essermi un po' confusa.... ._. ....
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Messaggio da Claudio-Olyandra » gio 27/mar/2008 21:55:00

SINTESI MASSIMA ESTREMA IRRIDUCIBILE.
*Claudio-Olyandra= la forma del Daimon non è assoluta;
*Lux= bisogna eliminare quei condizionamenti che alterano l'analisi.
Daimon uniuscuiusque humanitatis caput et fundamentum est semperque esto!

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