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Bird
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Messaggio da Bird » gio 17/set/2015 11:06:28

Tempo fa una ragazza del TDF scrisse una meravigliosa storia daimonica, che fece rimanere senza parole sia me che Auryn. Per togliere le parole di bocca a luii ce ne vuole, quindi ho pensato di farla leggere anche a voi. L'ho tradotta, ma metterò il link dell'originale in caso qualcuno volesse curiosare http://daemonpage.com/forum/viewtopic.p ... 3#p1097713
Ah, ovviamente non si chiama veramente River, credo sia un tributo a Firefly (?)




Sono passati due anni dall’incidente. Ancora lo sogno, la maggior parte delle notti. Lo stridìo di freni, un fascio di luce che illuminava la sua faccia terrorizzata per quel frenetico mezzo secondo in cui le gridai, troppo tardi, di correre. La faccia del guidatore, urlante anch’egli. L’impatto. Il nauseante scricchiolio del metallo contro le ossa. L’arco che il suo corpo descrisse in aria. L’immobilità mortale quando urtò il suolo.

Ho provato a fermarla, sapete. La macchina. Come è sempre stato per tutta la mia vita, la mia preoccupazione era per lei. Non mi sono nemmeno fermato a pensare, mi sono semplicemente posto tra quella e lei, e ho abbassato la testa, corna in avanti, e mi sono preparato a incassare l’impatto per lei. Non arrivò mai. Non per me, almeno, non arrivò mai. La macchina mi attraversò come aria e colpì lei. Era stupido da parte mia pensare che potessi fermare la macchina; lo so. Come se davvero potessi fermare qualcosa di corporeo. Ma, vedete, fu l’istinto. L’impulso di proteggerla fu automatico.

Giaceva al suolo come un giocattolo rotto, e i paramedici si affollavano attorno a lei. Sentiva dolore, e io ne sentivo ogni singolo attimo. Si concentrò su di me, ignorando gli altri umani e le loro domande. “Puoi concentrarti su questa luce per me? Guardala e basta.”
“Puoi sentire quello che stiamo dicendo?”

“Mi dispiace,” provai a dirle. Non avevo intenzione di deluderti.
Lei sbatté le palpebre, mi stava dicendo che era tutto okay.
Mi avvicinai a lei il più possibile senza toccare gli altri umani, e le parlai mentre il nero si infittiva ai limiti della sua visuale, e divenni sempre più difficile da visualizzare. “Va tutto bene, River. Va tutto bene. Andrà tutto bene, te lo prometto. Sono qui.” Le parole erano vuote, ma la confortavano, e lei chiuse gli occhi.

Mi svegliai due mesi dopo. Seppi quasi immediatamente che c’era qualcosa di sbagliato. Molto sbagliato. Innanzitutto, perché mi stavo svegliando, cercando di liberarmi dalla semi-incoscienza? Di solito era River a farlo. Io ero sempre sveglio fin da subito, trascinandola dietro di me fuori dal letto. Alzai una mano per scostare i capelli dalla mia faccia, e mi bloccai, come congelato. Perché avevo delle mani? Odiavo prendere forme umane. L’avevo fatto solo una o due volte.

Improvvisamente avevo molta paura. I miei sensi erano sovraccaricati. Potevo ascoltare le cose, sentire le cose. Tutto ciò che avevo conosciuto prima era una sorta di input sensoriale di seconda mano da River. Potevo perfino sentire l’odore delle cose. La mia mente vacillò. Cosa era successo? Eravamo in qualche modo stati catapultati in un universo alternativo, come avevamo teorizzato a volte? Un universo dove anche io ero umano? Non avevamo mai considerato quella possibilità.

Ma ero corporero, quello era certo. Forse era per quello che non potevo sentire River bene come al solito.
Ora notavo la sua assenza, il vuoto nella mia mente si risvegliò, e mi alzai a sedere con un sussulto di orrore. Lei dov’era?
“Riv!”
La voce rese tutto più chiaro. Era la sua voce. Avevo parlato con la sua voce. Sentii come se volessi vomitare.
Aprii gli occhi, e mi guardai attorno, ancora aspettandomi che fosse qualche sorta di scherzo, una beffa elaborata. Sicuramente lei era lì, a ridere di me e della mia ingenuità? Sicuramente?
Ma la stanza era vuota. Una pulita, fresca, bianca stanza d’ospedale. Vuota e silenziosa come una tomba.
All’inizio, ho provato a dire a me stesso che lei stava solo...riposando. Riprendendosi dopo l’incidente. Lasciando a me il timone nel frattempo. Il concetto dei daimon che facevano fronting non era sconosciuto, dopotutto. Ma più il tempo passava, più mi rendevo conto che lei non era solo silenziosa. Lei non c’era più. Avrebbe potuto essere semplicemente morta. Probabilmente è morta. Non lo so. Ma ovunque fosse andata, si era scordata di portarmi con sé.

E tutte le notti, dopo che ho sognato tutto questo, e rivissuto ogni secondo, mi sveglio stringendo le lenzuola in nodi e cercando lei, e quindi il tutto mi colpisce di nuovo. Lei non è qui, e io sono intrappolato in un corpo che non è mio. Dove sono i miei zoccoli, la mia pelliccia, le mie corna? Cerco di cambiare, di volare via dal terrore, di diventare qualcosa, tutto tranne che un essere umano, ma non posso. Sono intrappolato.

Quando guardo allo specchio, non vedo le pupille arancioni che mi aspetto di vedere. Questo corpo non è dello stesso mio sesso. Non è nemmeno della stessa specie. E’ tutto sbagliato, ma è anche peggio di quello. Credo che avrei potuto affrontare la cosa, se mi fossi svegliato in un corpo che semplicemente non era il mio. Ma essere nel suo corpo, essere nel corpo della persona che si ama di più al mondo, e sapere che la tua presenza è l’unica cosa che la ferma dall’essere al posto giusto - non potete capirlo a meno che non lo abbiate sofferto, e spero per voi che non lo facciate mai. Penso che avrei preferito se il corpo fosse semplicemente morto. Così sarei stato morto anche io. Con lei, come dovrebbe essere. Ma che lei se ne sia andata, e che io sia rimasto indietro come i resti di un pasto mezzo consumato, come uno scherzo di cattivo gusto -

Riuscite a immaginare come sia stato? Perderla? No, ovviamente non potete, nessuno può. Siete umani; la maggior parte di voi è sempre stata sola, per lo meno nelle vostre menti. Non potete nemmeno sfiorare l’idea di capire come sia stato. Per tutta la mia vita, lei è stata lì. Non ero nemmeno veramente vivo. Non sono mai realmente esistito. Sono...ero...frutto della sua fantasia. Quando non pensava a me, io semplicemente... non ero lì. E quando pensava a me, i miei pensieri e la mia mente erano soltanto la metà di un unico. Finivamo le nostre frasi a metà, ci completavamo a vicenda. Sapevo che lei viveva la vita senza di me, ma non potevo nemmeno immaginare di vivere una vita senza di lei. Non l’ho mai immaginato. Non mi è mai saltato in mente che ci fosse la possibilità che potesse succedere. Era implausibile, una cosa stupida, pensarci. Come potevo continuare a esistere se lei non esisteva?
Mi rendo conto che questa sorta di dipendenza non piacerà a coloro di voi che sono umani. Non vi piacerebbe sapere di qualcuno capace di dettare tutto di voi, anche fino al fatto se esistete o no. Ma non era una prigione. Era perfetto. Vedete, io l’amavo. Più di quanto avessi mai amato me stesso. Sarei morto per farla felice , se fossi stato in grado di morire. Avrei dato via la mia vita per la sua in un battito di ciglia.

E ogni giorno guardo nello specchio in occhi che non sono i miei, in occhi che sono i suoi, e sento che tutto questo è profondamente sbagliato. E mi sembra incomprensibile, come il mondo possa andare avanti senza di lei. Perché lei era tutto il mio mondo. Era tutto ciò che conoscevo.

E’ stato difficile, veramente difficile, adattarsi. Dovetti imparare a mangiare, a camminare, a sbattere le palpebre, a respirare. Avere veri muscoli da coordinare era molto più difficile che avere semplicemente una vaga impressione di arti e movimenti. Ma ancora più difficile di quello era imparare a convivere con quell’abisso vuoto spalancato nella nostra testa, dove River sarebbe dovuta essere. Ero la nostra metà minore, e dover pensare e affrontare tutto da solo era più doloroso di quanto possa descrivere. Era come...come Robin che cerca di fermare Joker senza Batman, il Mignolo che cerca di conquistare il mondo senza il Prof. Ridicolo, e un po’ patetico.

Immaginate di essere una forma di vita simbiotica, un parassita come i facehuggers di Alien. Il vostro ospite d’improvviso svanisce, e voi vi ritrovate a dovervi muovere e nutrirvi e vivere da soli. Era anche peggio di quello. Ero meno di un parassita, un mero groviglio di pensieri e immaginazione, non importa quanto River mi amasse. Non ero stato fatto per essere indipendente.
E non ero pronto a essere solo. Non lo sono. Non mi saranno mai piaciute le persone, ma amavo lei.
E non sono stato fatto per essere solo.

Parlavamo sempre di cosa avremmo fatto se fossi stato corporeo. Ma nelle nostre conversazioni, era sempre ‘noi’. Non mi sono mai immaginato di dover fare questo da solo. Quindi non ho mai fatto nessuna delle cose che pensavo avrei voluto fare. Non ho mai bevuto succo d’arancia. Non ho mai mangiato curry, né mi sono paracadutato da un aereo. Non ho mai fatto bungee-jumping e non sono mai andato a sciare. Sin dal giorno in cui mi svegliai, non sono nemmeno mai andato a correre. Voglio farlo - voglio correre e galoppare e saltare sulle brughiere come facevamo. Ma non lo farò senza di lei. Senza lei qui a farlo con me, che senso ha? E farlo nel suo corpo - mettere il suo corpo a rischio di tutta quella roba da drogato di adrenalina che volevo fare - non potrei mai farlo.

Quindi ho continuato a vivere esattamente come faceva lei. Facendo quello che faceva, vivere le sue routine. Rispondo al suo nome. Quando mi svegliai la prima volta, camminavo a quattro zampe. Piangevo e gridavo quando mi chiamavano con il suo nome. Cercavo di dirgli che il mio nomer era Dahanain, non River. Li pregavo di aiutarmi a trovarla. Li pregavo. Singhiozzavo dicendogli di portare via il vuoto dal mio cranio - il suo cranio - perché dov’era lei?

Ma il tempo passava, e lei non tornò mai. Mi visitò uno psichiatra dopo l’altro. Mi mostravano blocchi inchiostrati, e mi facevano infinite domande, e anche se all’inizio provai a spiegare, presto rinunciai. Non ascoltavano mai. Mi declamavano parole di medicina, e mi davano delle etichette, e parlavano della mia ‘condizione’, ma nessuno di loro capì. Nemmeno uno di loro provò anche solo ad afferrare cosa stavo dicendo. Che non ero pazzo, ero sano, ma ero nel corpo della mia umana e lei non era lì.

Stava distruggendo la sua famiglia, i suoi amici. Tutto quello che riuscivano a vedere era che lei si stava cadendo a pezzi, ma era ancora lì. Stavano soffrendo, e alla fine capii che lei non avrebbe voluto che soffrissero. Questo fu ciò che infine mi spinse fuori dallo shock iniziale e dalla perdita, dall’essere solo.
La consapevolezza che potevo ancora fare quello che lei voleva, anche se lei non era con me.

Quindi...mi arresi al mondo esterno. Quando dicevano ‘River’ mi voltavo a guardare. Quando mi facevano domande sul mio passato, dicevo ‘io’ e non ‘lei’. Quando pronunciavano il nome ‘Dahanain’ li fissavo con sguardo vuoto, finché non facevano un altra domanda. Faceva piacere ai dottori, e ingannava la sua famiglia. O almeno essi stessi si ingannavano. Non ho mai pensato di essere convincente. Anche ora, c’è un leggero ritardo quando devo realizzare che stanno parlando con me e non con lei. Notano che evito gli specchi. Non voglio che il suo volto mi fissi di rimando, rimproverandomi con la consapevolezza che ora sono io a controllare i muscoli. Ma non serve a molto. Lo posso ancora sentire, senso di errore legato a questo corpo. Non lo voglio. Le dita non sono mie. La spina dorsale è troppo corta, finisce senza una coda. Trovo ancora difficile la coordinazione. Il movimento su due gambe è difficile per me, specialmente la mattina quando sono stanco. Hanno smesso di commentare quando mi vedono muovermi su tutti e quattro gli arti, molto più velocemente di quanto un essere umano dovrebbe essere capace di fare.

Sanno che qualcosa è mostruosamente diverso dall’incidente. Chiunque potrebbe vederlo.
Per il mondo esterno, lei era una ragazza che una volta scriveva storie, canzoni, poesie, a cui piaceva correre, che amava il proprio piccolo gruppo di amici, che era sicura di sé e supponente e chiacchierona e allegra. Ora è un’amara, isolata sociofoba che non fa mai nulla, che non parla mai e che lascia la sua stanza solo quando costretta. E’ arrabbiata e si scaglia contro le persone, e preferirebbe uccidersi piuttosto che camminare. Non ha amici, e i rumori che provengono dalla sua stanza di notte quando piange, suonano a malapena umani. Ci sono versi di volpe, di sciacallo, e il duro grido di una creatura simile a una capra, ma non ci sono mai singhiozzi umani, e non può più piangere lacrime.

Ma loro sono razionali, sani esseri umani, quindi non dubitano del fatto che sia sempre la stessa persona.
Non dubitano del nome, del sesso, della specie della cosa che è dentro il corpo della loro figlia. “L’incidente l’ha cambiata,” si rassicurano a vicenda. “Ma lei è ancora lì, la nostra River.”
E’ come se stessero cercando di insultarmi. Ancora lì? Non c’è nessuno qui a parte me.

Compiango la loro perdita, e compiango loro, ma più di tutto compiango me stesso. Chi ha perso più di me? Perfino River, che ha perso la vita, non ha perso più di quello che ho perso io. Se fosse successo il contrario, e fossi scomparso io nell’incidente, lei sarebbe stata triste, ma avrebbe continuato ad andare avanti con la sua vita, dopo un’interruzione minore. Dopo tutto, per quanto mi amasse, ero solo un amico immaginario. Ma per me...il mio intero mondo è crollato. Il tessuto del mio universo se n’è andato. E io sono perso.

La cerco ancora. Ogni giorno, quando ho soddisfatto le richieste della sua famiglia, e ho nutrito e mi sono preso cura di questo corpo, che conservo nella speranza che un giorno lei tornerà per richiedermelo indietro, vado nella sua stanza, e mi siedo sul pavimento e chiudo i suoi occhi. E la cerco. Scavo tra le profondità della sua mente, e la chiamo. Chiamo e chiamo, nella speranza che lei risponderà, ma non lo fa mai. Tutti i suoi ricordi - i nostri ricordi - sono qui, intatti. Ma lei non c’è. Quando li riguardo, cosa che faccio spesso, perché la mia rievocazione è di molto superiore a quella che era la sua, li vedo come se fossi lei.

Qualche volta mi chiedo se un giorno mi dimenticherò chi sono. Chi era lei. Se dimenticherò che il mio nome non è il suo nome, e se dimenticherò che lei non è sempre stata come io sono ora. Qualche giorno la mia stretta sulla realtà si indebolisce e vaga, e sogno come se avessi la febbre. Sembra che lei sia di nuovo qui con me, oppure sogno che io sono lei e che sto cercando il mio daimon, e poi mi sveglio e niente sembra davvero reale.

Quindi sto scrivendo questo. In caso dimenticassi. Il mio nome è Dahanain, e una volta River era qui con me. Lei era la mia umana, e io ero il suo daimon, e...e io l’amavo.
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Re: Impostore

Messaggio da Pandemonium » gio 17/set/2015 12:51:50

Hanno preso il mio cuore e l'hanno buttato a terra, calpestato, trafitto e schiaffeggiato.
E' troppo bello e troppo brutto.
Vado a piagnucolare in un angolino.
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Re: Impostore

Messaggio da Cassandra e Sibilin » gio 17/set/2015 13:28:58

li ho letti tutti. Alcuni sono molto carini!


...questo non è tra i miei preferiti. XD
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Re: Impostore

Messaggio da Darth Nia » gio 17/set/2015 14:07:19

Che dire... straziante, ma al contempo bella e piacevole da leggere. Complimenti per la traduzione!
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Re: Impostore

Messaggio da Kasei » gio 17/set/2015 14:17:27

Ricordo di averla letta, probabilmente è una delle migliori *-*!
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Re: Impostore

Messaggio da Lionheart » gio 17/set/2015 14:20:28

Impressionante. Intenso. Particolare. Mi è piaciuto parecchio, e anche tu sei stata brava per aver tradotto questo malloppone.
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Re: Impostore

Messaggio da Bird » gio 17/set/2015 14:22:07

Grazie genta :D

E boh, è una delle cose più belle che io abbia mai letto. Lei è davvero brava.
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Re: Impostore

Messaggio da Yomi » gio 17/set/2015 14:40:16

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Re: Impostore

Messaggio da Alastor » gio 17/set/2015 16:47:58

Bellissima, coinvolgente. Sembra quasi di essere il protagonista.

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Re: Impostore

Messaggio da Kia&Airos » sab 19/set/2015 12:59:45

Una delle cose più struggenti che abbia mai letto. :(
"Io non sono riuscito a fare neanche una battutina idiota. Ho detto tutto." (Airos ha l'incredibile capacità di sdrammatizzare TUTTO)
Adesso, la vera domanda è... oddio, potrebbe succedere? D:
//Il coraggio conta solo quando sai contare.//

"Le porte sono solo per chi non ha nemici"


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