La metto tra spoiler: la voce narrante non è esattamente educata. XD
MostraIl fucile mi pesa sulle spalle come la fottuta croce di Gesù Cristo.
Fa freddo, un freddo così intenso che abbiamo quasi paura che il respiro ci si congeli addosso.
“Che cazzo ci siamo venuti a fare, qui?”
Caro Jonesy, faccia di ratto, che elemosinavi sempre carta da lettere o qualunque piccolo straccio pulito per scrivere a casa…era questo che mi chiedevi, e certe volte mi sorprendo a fare la stessa domanda, nella mia testa ma con la tua voce.
Non lo so da quanto siamo qui impantanati nel fango e nella nostra stessa merda, giorno e notte.
Mi fanno male le ossa, non mi sento i piedi. Vorrei togliermi gli stivali, ma poi so che si gonfieranno i piedi e non riuscirò più a metterli.
Tu lo sai, un uomo senza stivali è un uomo morto, in mezzo a tutto questo delirio.
Dicono che nevicherà presto, e sarà peggio. Per ora piove, schifose gocce pesanti come le bombe che ci buttano addosso.
Riuscirò a vederla, la neve?
Tu, Jonesy, tu non ce l'hai fatta, non hai finito nemmeno il primo mese. Mi sei morto ai piedi, schiacciato come uno scarafaggio sotto il tacco di una scarpa.
Scarafaggi...non è che siamo tanto diversi. Siamo una torma insignificante di miserabili, lerci, sudici soldati del cazzo: marciamo, e strisciamo ,e marciamo ancora, e ancora, fino a quando non ci si spezzano le gambe o ci ficchiamo una pallottola nel cranio, per non pensare più.
Vaffanculo, siamo gli scarafaggi del mondo e nessuno lo sa. Magari si sono pure dimenticati di noi.
Per ora non possiamo far altro che tirare avanti, seppelliti in questa tomba che gli alti papaveri osano chiamare trincea.
Se la schiaffassero in culo, la trincea.
E dicono che si stava peggio nel passato. Io non ci credo, la storia non va tanto per il sottile, quando si parla di morti.
A loro di certo non interessa se ci hanno fritto, se la febbre ci ha divorati, se siamo finiti a far compagnia alla polvere dello spazio.
Basta che teniamo la postazione. Poi magari ci daranno una medaglia al valore e la porteranno alla nostra famiglia su di una bandiera nuova fiammante.
Sono stato un pollo, ma cosa posso farci? A vent’anni tutte le guerre sono giuste. Ci allevano per questo, stordendoci di chiacchiere sin dalla culla.
Corri nei campi, sognando il giorno in cui anche tu piloterai, in uniforme bianca come quei bastardi della Royal, una di quelle belle astronavi scintillanti: immagini tutta la gloria, e i viaggi, il lusso e perché no, il sesso e le donne.
Quando poi ti rendi conto della fregatura è troppo tardi, e hai sprecato quindici anni della tua vita a farti sbudellare dal Nemico in qualche remoto angolo dell’universo conosciuto.
L’avessi guardato in faccia, questo Nemico! Tu lo sai, Jonesy? Tanti anni che mi sei morto addosso, e ancora non l'ho visto.
Solo figure, in lontananza, quando la battaglia si fa abbastanza feroce da permetterci di guadagnare un paio di millimetri.
Figure da colpire, da distruggere, siamo al tiro al bersaglio. Se non fai così, muori anche tu.
Dicono che se ti avvicini troppo ti friggono il cervello, come è successo a quel poveraccio del generale, che dopo non metteva due parole insieme.
Da lontano, loro hanno sempre il casco, quello che abbiamo anche noi.
Lo detesto.
Chiamami stronzo, ma a me non piace combattere a faccia coperta. Buttarsi a pugni stretti contro il viso, come quando facevo da adolescente, come quando ti ho conosciuto, non con un’arma spianata, uguale tra gli uguali.
Non puoi mai ricordare la faccia di chi stai ammazzando.
Ma qui come fai a ricordare? Siamo bestie da macello, numeri, sigle che impiegati il cui culo ha preso la forma della loro poltrona usano per giustificare la loro paga, per riempire documenti vuoti su computerini scintillanti.
Alla fine, anche io sto diventando un computerino, Jonesy, solo macchiato di merda.
Io di ricordi ne ho tanti, ma li ho chiusi in un cassetto e ho ingoiato la chiave. Quelli sì che ti fanno uscire pazzo.
Quindici anni ti rivoltano il cervello come un calzino, e alla fine sei da buttare, uno straccio.
Tra un po’ verrà il congedo, ma io non lo voglio. Una casa dove tornare non ce l’ho più, i campi sono andati alla malora, mio padre è vecchio e nessuno lo aiuta a coltivare.
Senza famiglia, la tua destinazione è uno dei pianeti governativi, quelli che la guerra la vedono dalle notizie e dai volantini patriottici.
Buttato lì come un rifiuto da riciclare, in attesa che l’Armata ti richiami, una sveglia che trilla nel buio: no, preferisco macerarmi in questa tana di ratti fino a quando non farò la tua stessa fine.
Da quanto dura questa guerra? Perché è scoppiata, cosa vuole da noi il Nemico, cosa vogliamo noi da lui?
Queste sono domande da novellino, e io ormai mi sono rotto di farle e ricevere le stesse risposte.
Dopo un po’ di tempo in truppa, smetti di curarti dei sussurri della gente.
Noi sappiamo che sono i cattivi e che dobbiamo sparare, tanto basta. Me ne frego, devo fregarmene e preparo il mio fucile.
Pesa, ogni giorno di più, sega le spalle come gli attrezzi che portavo nel campo per mio papà, quando ero bambino.
Quello però era un peso buono, con quelle cose lì ci facevi crescere le piante.
Questo è un peso di morte.
Vorrei ribellarmi, ma è troppo tardi per pensarci. Quindici anni e sono diventato anche io una macchina di morte.
Chi lo sa, questo sarà il giorno buono, e se non sarà oggi sarà domani.
Un colpo in testa e addio, torno a sognare per sempre.
Sognerò di quando mi sbucciavo le ginocchia e cadevo, e che dolore era quello,un dolore grande come un pianeta!
Sognerò di baci fragranti e rubati, delle alte torri trasparenti della capitale, delle fusa di un gatto, di viaggi senza fine tra le stelle.
Forse sognerò anche di te che mi chiedi uno straccio per scrivere a casa.
Sarebbe stata una vita diversa, una strada che avrei potuto prendere, cose che avrei potuto fare.
Troppi se, e alla fine ti ritrovi uomo fatto, senza famiglia e senza futuro, buttato in un mare di fango con altri cretini come te.
Le bombe fischiano, e noi ci dobbiamo alzare. Tra poco torneranno a colpire, ma a me piacerebbe riposare. Con te.
Credo che non mi difenderò.