Questo argomento di discussione è davvero stimolante per l'intelletto. Partiamo dal principio.
Non farla troppo lunga, però...
tasso85 ha scritto:per quanto posso dire di me stesso, no, non temo la morte, temo la paura che la morte porta con sè, come dire, ho paura della paura stessa...
Questo è il primo grande passo. Della morte non sappiamo nulla con certezza, nondimeno la disegniamo con terrore nella nostra mente, come momento di distacco e di separazione ineluttabile, come troncamento di un flusso che scorre impetuoso con la freddezza marmorea di una diga massiccia. Sono tutte riflessioni che nascono da come noi vivi percepiamo la morte degli altri, ma la prospettiva è errata, in quanto per apprezzare (nel senso di prendere coscienza) la portata di un fenomeno bisogna passarci attraverso, non guardarlo da fuori. In nuce, quindi, della morte temiamo più gli spettri che ci siamo costruiti rielaborando in chiave nuova il retaggio della cultura dei secoli preteriti, che non l'essenza stessa di un evento che ci resta per lo più preclusa ed alla quale non possiamo accedere che quando esso si avvera, col risultato che non possiamo prepararci. E siccome l'uomo è finito e poggia su pilastri imprescindibili per le proprie certezze, teme per natura ciò che dall'ordinario si discosta e perciò, a fortiori, prova angoscia per quello che dei pilastri della vita è apparentemente l'antonimo più forte.
tasso85 ha scritto:
io non credo in nessun Dio, nè in un mondo oltre la morte, perchè vedo il nostro ciclo vitale completo così com'è, senza bisogno di un'ulteriore vita alla fine di questa... [...] in effetti, la morte è libertà, dalle pene e dai dolori del mondo materiale, quando finalmente possiamo posare il nostro fardello, e lasciare che eventualmente esso sia raccolto da altri...
Qui giace la lepre. Se nulla si colloca come fase ulteriore al decesso, allora l'eguaglianza morte=libertà non regge. Cos'è la libertà? Investighiamo sull'accezione di un termine di cui s'abusa incoscientemente. La libertà, colta nella sua essenza, non è
libertà da, bensì
libertà di. Dire che siamo liberi dai fardelli significa che ci lasciamo dietro qualcosa di spiacevole o di logorante, ma fermarsi a questo equivale a fermarsi alla
pars destruens di un'argomentazione. Occorre sondare più a fondo la cosa. Dopo che ci siamo tolti di mezzo il passato, verso cosa viaggiamo? Se, come tu asserisci, non ci sono destini ultraterreni, allora ci incamminiamo verso il nulla. Ed il nulla non è libertà, il nulla è paralisi, non ha qualificazioni positive. Il nulla non è, direbbe Parmenide. E, pure invocando il principio di unità degli opposti, la soluzione non sarebbe più confortante, perché il tutto non è libertà, è necessità, è vincolo. Nella pienezza del tutto non ci sono bivi o scelte, perché la scelta presuppone l'abbandono di qualcosa per qualcos'altro ed abbandonare qualcosa non è compatibile col tutto. Allo stesso modo, nella vuotezza del nulla non ci sono bivi o scelte, perché la scelta presuppone che ci sia qualcosa da scegliere ed il fatto che ci sia qualcosa nega il nulla.
Reputo assolutamente appropriate alcune frasi desunte da QOM:
1) "A un certo momento, sono possibili diverse cose; il momento appresso ne accade una, e tutte le altre non esistono";
2) "Quando si sceglie una via tra tante, tutte quelle che non si imboccano si cancellano come fiamme di candela spente, quasi non fossero mai esistite. In quel momento in Will convivevano tutte le scelte possibili. Ma tenerle in vita tutte significava non fare niente. Doveva scegliere e basta.".
Nella potenza non c'è l'atto e nell'atto non c'è la potenza. Le opportunità sono potenza, la decisione è atto. Quando decidi distruggi il
non deciso, quando conservi tutto non decidi. Il nulla consiste nella potenzialità di non agire, ma se decidi di non agire, hai pur sempre agito. NECESSITà. Il tutto consiste nella potenzialità di fare ogni cosa, ma se decidi di fare ogni cosa, hai preso una decisione, distruggendo le altre, perciò non puoi decidere. PARALISI. Il tutto ed il nulla sono intercambiabili, ma entrambi difettano della libertà. La scelta è vita, perché la vita è la lotta fra forze contrastanti, senza che una trionfi in modo netto, è un baricentro più o meno equilibrato fra poli antitetici. Se vuoi la libertà nella morte occorre che ammetti la vita durante di essa, una vita ultraterrena con nuove opportunità e nuove decisioni. Per salvare la libertà dobbiamo per forza tracciare un cammino che ciascuno possa percorrere con ritmo proprio, sicché alla necessità del tragitto vincolante si abbini l'accidente della velocità della camminata, variabile da soggetto a soggetto.
Poniamo allora che tu risolva il conflitto logico sacrificando la libertà e mantenendo il nulla. Allora sì che opera il principio da te giustamente citato: >. Domanda: se quando l'Orco arriva da est, noi andiamo via da ovest, perché preoccuparsi d'incrociarlo?
Sintetizzando:
1) se dopo la morte c'è un altro ambiente che ci attende, allora non occorre preoccuparsi del trapasso più di quanto ci si preoccupa di vivere e dei quotidiani cambiamenti che connotano la vita;
2) se dopo la morte c'è il nulla, allora non occorre preoccuparsi del trapasso perché non ne avremo coscienza alcuna.
Ergo, non bisogna temere la morte. (filosofia)
Ma forse a cent'anni cambierò idea. (realtà)
Ulteriore conferma della discrepanza fra pensiero e natura, fra res cogitans e res extensa...
Sei un gran pensatore, sono fiera di te.